Il 6 agosto 1985 un un commando mafioso di nove persone armato di kalashnikov uccise il vice questore Ninni Cassarà e l’agente della squadra mobile Roberto Antiochia, 23 anni, che con il suo corpo tentò di proteggere il suo superiore e amico.
Mercoledì 6 agosto, alle ore 18, presso la sede Extra Libera in Via Stamira 23 a Roma, in occasione del 40° anniversario della sua uccisione, “don Luigi Ciotti e il fratello di Antiochia, Alessandro, ricorderanno Roberto, la madre Saveria che fino alla fine dei suoi giorni insieme a Libera ci ha insegnato a costruire memoria e impegno contro le mafie, così come ricorderemo tutte le donne e gli uomini dello Stato che con il loro sacrificio e profondo senso del dovere hanno combattuto e combattono le organizzazioni mafiose”, si legge in una nota di Libera.
Roberto Antiochia nato a Terni e cresciuto a Roma è stato il più giovane poliziotto della squadra mobile di Palermo guidata da Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, una sezione d’élite che ha rappresentato una sorta di università investigativa nella lotta alla mafia agli inizi degli anni ‘80. Antiochia trasferito alla Criminalpol di Roma, all’indomani dell’omicidio del commissario Montana decise di prendere le ferie per andare a Palermo per contribuire alle indagini sull’uccisione del suo ex capo. Dopo 9 giorni dall’omicidio di Montana il 6 agosto 1985 un commando mafioso di nove persone armato di kalashnikov uccise il vice questore Ninni Cassarà e Roberto Antiochia. Il presidente della Repubblica il 26 settembre 1986 ha insignito Roberto Antiochia della Medaglia d’oro al Valor civile.
“Roberto – commenta Libera nella nota – era un cittadino di Roma e sarebbe importante che la nostra città lo ricordi intitolando all’agente Antiochia una via o uno spazio pubblico. Chiediamo al sindaco Roberto Gualtieri un gesto così significativo perché le targhe toponomastiche vanno a formare, un libro a cielo aperto che ci accompagnano ogni giorno e le cui pagine contribuiscono a tramandare alle nuove generazioni il patrimonio della memoria. In questo caso non solo di un agente coraggioso, ma anche un esempio di integrità e di amore per l’Italia. La sua vita, pur breve, è un messaggio potente: la lotta alla mafia si combatte anche con atti di grande generosità e senso del dovere”.
“La storia di Roberto – conclude Libera – è una storia che ci appartiene, una storia di valore e coraggio: parole che utilizziamo con convinzione, affinché possano andare oltre la retorica e costruire quella memoria collettiva di cui abbiamo tanto bisogno. Una memoria viva che riesca a illuminare quella zona grigia che ancora oggi resta tra le grandi ferite di tante delle storie delle vittime innocenti delle mafie”.
Fonte: Agensir
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