Giorgia, la mia allieva. Giorgia che dopo la laurea in scienze politiche cerca con fatica di diventare giornalista mentre intorno è un coro: non ce la farai, pensa a quanti giornalisti vengono prepensionati, e la gente che non legge più.
E lei tenace: free lance, ovvero pochi euro ad articolo. La ricerca dei riferimenti giusti per fare buona informazione, specie di cronaca nera. Senza concedersi un’ambiguità. Senza vendersi con l’alibi che il giornalista deve raccontare quel che succede, mica è un missionario. La giovinezza al servizio delle buone cause, anche le più scomode. Come la lotta alla mafia.
Cerco nel mio archivio universitario le sue tracce. Eccole qua. Anno 2014, tesi assegnate in Sociologia della criminalità organizzata. Sono 33. Scorro fino in fondo: Venturini Giorgia. Sta scritto “laureata, punteggio finale 110”. Titolo della tesi: “I traditori. Codici di condotta e lotta per il potere in Cosa Nostra”. A sua volta traccia di un mio antico e grandioso progetto mai realizzato: dimostrare la natura ontologicamente traditrice del mafioso, altro che leale e generoso e uomo d’onore. Il tradimento permanente come strumento di ricchezza e di potere.
L’ho seguita sempre Giorgia, anche perché ho avuto in aula tutte e due le sorelle, due gocce d’acqua, l’altra entrata nelle forze dell’ordine. L’ho incoraggiata spesso, cogliendo in lei doti rare di intuito e di originalità. E anche di coraggio.
Quando mi ha telefonato per raccontarmi quel che poi è andato sui giornali, ossia la testa di capretto mozzata e lasciata davanti al cancello della sua casa di un piccolo paese delle Brianza, non ho avuto dubbi. Lei non ha fatto la vittima, non si è pianta addosso, ma certo – un po’ preoccupata – si è fatta qualche domanda sulla natura e sull’origine dell’intimidazione. Per quali articoli e per quale argomento, in specifico?
Nei giorni del quarantesimo anniversario di Giancarlo Siani, tutti, davanti alla notizia dell’intimidazione, hanno riscoperto la funzione del “giornalista-giornalista” (espressione usata da Siani in contrapposizione al “giornalista-impiegato”). E soprattutto di fronte alla mafia hanno riscoperto la funzione insostituibile dei giovani giornalisti un tanto ad articolo.
Per fortuna ora Giorgia è ormai redattrice di Fanpage, testata per cui scrive articoli molto letti o sentiti. E sempre per fortuna ora è in buone mani, quelle della Procura e della Direzione distrettuale di Milano, che almeno non le diranno, come fece qualcuno subito dopo la denuncia, che probabilmente si trattava di un rifiuto del macellaio musulmano. Che le istituzioni la difendano come merita.
Perché quando le istituzioni fanno il loro dovere tutta la società intorno a noi cambia.
L’ho pensato vedendo il filmato di una sobria, solenne cerimonia tenuta nel cortile del liceo Giulio Casiraghi di Cinisello Balsamo: dove una professoressa legge le decisioni assunte dall’istituto con dignità e misura perché “ritiene proprio dovere denunciare la gravissime violazioni dei diritti umani fondamentali”. Chiedere cioè che i principi umanitari trovino ascolto anche a Gaza, il luogo del genocidio, la parola che non si poteva dire.
Ha parlato anche di Hamas, la prof, stiano tranquilli i soloni che pretendono omertà. Davanti a file di studenti silenziosi in piedi intorno a lei, tutti in camicia e maglietta bianca, si è realizzata una delle pagine più belle della storia recente della scuola italiana (e ce ne sono!). Ascoltavo le sue parole e sentivo il brivido di un paese che forse sta resuscitando.
Non vi faccio il suo nome, perché spero che diventi simbolicamente la nostra “Professoressa Ignota”. Destinataria, chissà, di una nuova “Lettera” collettiva. L’esempio dell’educatrice che porta nel suo lavoro quell’impegno e quell’orgoglio di sé, che come diceva Vaclav Havel, sono le garanzie più profonde della libertà e della democrazia. Grazie cara Professoressa.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 29/09/2025



