Attacchi d’assaggio alla ‘flotilla’ e ultimatum agli umanitari a Gaza

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Flotilla sotto attacco, ieri colpite 11 imbarcazioni di Italia, Inghilterra e Polonia con droni, bombe sonore e spray urticanti: per ora. Mobilitata una Fregata italiana solo per soccorso: molti temono il peggio. Meloni contro la Flotilla mentre Israele blocca di fatto le Ong di aiuti umanitari.

Israele contro tutti, bersaglio Flotilla

Nell’attacco in acque internazionali, pirateria da parte di ‘forze ignote‘ ma ben note al mondo. «Per garantire assistenza ai cittadini italiani presenti sulla Flotilla questa notte ho autorizzato l’intervento immediato della Fasan della Marina militare che era in navigazione a nord di Creta nell’operazione Mare Sicuro». Il ministro della difesa italiano non accusa nessuno ma precisa che «sono stati informati l’addetto militare israeliano in Italia, il nostro ambasciatore e l’addetto militare a Tel Aviv e l’unità di crisi della Farnesina». Per gli esperti di diritto: ‘Un atto illecito, per i Paesi colpiti c’è ricorso all’Onu’. Ma la premier Meloni, da New York, ha altri bersagli: «Non c’è bisogno di rischiare la propria incolumità di infilarsi in un teatro di guerra per consegnare aiuti a Gaza che il governo italiano avrebbe potuto consegnare in poche ore». Davvero?

Politichina politichetta

E alla fine di una giornata convulsa, la premier Meloni confessa che l’invio della fregata è solo sceneggiata: «Se l’alternativa è forzare il blocco navale cosa dovrebbe fare il governo italiano? Mandare la Marina militare e dichiarare guerra Israele? Mi pare si stia un po’ esagerando». Mai guerra a Israele, certo, ma neppure un po’ di sanzioni, denuncia stamane Alberto Negri. «E se i militari israeliani salissero a bordo delle imbarcazioni della Flotilla o le costringessero a cambiare rotta? Lo faranno anche se nei pressi – ma a decine di miglia – fosse in navigazione la fregata Fasan. Il comandante ha l’ordine di tenersi a distanza dalla Flotilla. Nessuno deve vedere nessuno».

L’arma della fame e la strage

A Gaza intanto, sulla fame che sta uccidendo ormai quasi più delle bombe, la pervicacia crudele di Israele che non mira più semplicemente a limitare le operazioni dei gruppi che forniscono aiuti, ma a bandirli. A partire dall’UNRWA e altre agenzie delle Nazioni Unite e organizzazioni internazionali dopo che Israele ha vietato l’ingresso di tutti gli aiuti a Gaza nel marzo 2025. Da allora, Israele ha premuto sulle ONG internazionali affinché accettassero il GHF (la Gaza Humanitarian Foundation, un’organizzazione americana col sostegno dell’amministrazione Trump e del governo israeliano. Le Nazioni Unite e diverse organizzazioni umanitarie si sono rifiutate di collaborare con GHF, accusandola di sfruttare gli aiuti umanitari per scopi politici e militari).

Controllo totale e pulizia etnica

«Con il pretesto della nuova registrazione, Israele cerca di obbligare tutte le ONG internazionali a conformarsi al ‘modello GHF’, trasformando gli aiuti in un mezzo per la pulizia etnica», denuncia l’israeliano ‘+972 Magazine’ (independent journalism from Israel-Palestine). «A marzo, il Ministero israeliano per gli Affari della Diaspora e la Lotta all’Antisemitismo ha imposto una procedura di nuova registrazione per tutte le organizzazioni umanitarie che operano nei territori palestinesi occupati. La procedura, da qui alla fine dell’anno, in realtà rappresenta una ‘minaccia esistenziale’ per le attività di decine di gruppi umanitari internazionali, molti dei quali lavorano da decenni per migliorare la vita dei palestinesi sotto occupazione israeliana».

Schedatura e censura

Come condizione per la nuova registrazione, Israele chiede un elenco di tutti i dipendenti, compresi i palestinesi. Qualsiasi gruppo scoperto ad impiegare qualcuno che abbia invocato il boicottaggio di Israele negli ultimi sette anni, potrebbe perdere l’autorizzazione a lavorare nei territori occupati. I lavoratori segnalati da Israele debbono essere licenziati in tronco se le loro organizzazioni vogliono continuare a operare. «Fornire a Israele un elenco dei propri dipendenti palestinesi li espone a pressioni e rappresaglie, in particolare a Gaza. Ma rifiutarsi di farlo metterebbe a rischio la possibilità di  fornire servizi essenziali ai palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, e ha lasciato le organizzazioni umanitarie a temere per il futuro del loro lavoro».

Espellere gli ‘umanitari veri’

«L’obiettivo della nuova registrazione è di espellere la maggior parte dei gruppi umanitari e cooptare quelli rimasti nel programma del Fondo Umanitario per Gaza (GHF) – che, da maggio, ha avuto un quasi monopolio sulla distribuzione degli aiuti nella Striscia, con conseguenze estremamente fatali. Così facendo, Israele cerca di accelerare la dissoluzione del modello di assistenza umanitaria basato sui bisogni a Gaza, sostituendolo con uno che strumentalizza i flussi di aiuti in modi che si allineano con il più ampio programma di pulizia etnica del governo». Dimostrazioni? Il fatto che ci siano ancora solo quattro siti di distribuzione di aiuti GHF attivi a Gaza, e che nessuno di essi si trovi nel nord della Striscia, dove Israele sta sfollando forzatamente la popolazione in massa.

Nazioni Unite escluse

Israele ha cercato a lungo di limitare le attività delle organizzazioni internazionali che operano nei territori occupati, accusa ‘+972’. E la crociata contro l’Agenzia delle Nazioni Unite (modello Trump ieri all’Onu), l’UNRWA e il suo mandato di 75 anni per fornire il necessario sostegno ai rifugiati palestinesi ha segnato una escalation prograssiva. «Nel gennaio 2024, Israele ha accusato il personale dell’organizzazione di aver partecipato agli attacchi del 7 ottobre, inducendo diversi paesi donatori a sospendere il sostegno finanziario. Nove mesi dopo, la Knesset ha approvato una legge che bollava l’UNRWA come organizzazione terroristica e le vietava qualsiasi contatto con il governo israeliano, rendendo di fatto impossibile il suo intervento a Gaza e in Cisgiordania».

Confessioni di un umanitario

Un operatore umanitario: «c’è una crescente sensazione di stare combattendo una battaglia persa. “A volte sembra che noi [ONG internazionali] dovremmo fare i bagagli e andarcene. Non stiamo salvando vite come dovremmo, non stiamo proteggendo i palestinesi come ci siamo impegnati a fare e siamo rimasti troppo in silenzio. Non siamo in grado di attuare il nostro imperativo umanitario. Siamo sostanzialmente oltre le nostre linee rosse. L’unico modo per noi di operare è all’interno di questi campi che Israele sta allestendo. E in Cisgiordania non possiamo accedere alle comunità più vulnerabili».

Fonte: Remocontro


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