In tema di mafia la Corte dei diritti di Strasburgo non suona sempre buona musica. Una prima “stecca” fu la sentenza del 2019 con cui ha messo in mora l’ergastolo ostativo, ignorando volutamente che la presunzione per cui, in mancanza di un “pentimento”, il mafioso tale resta e mantiene i contatti con la cosca di provenienza, ha una solida base di esperienza. In una delle poche iniziative azzeccate, il Governo ha salvato la gran parte dell’ergastolo ostativo col decreto-legge n. 162 del 2022 (i contatti tra mafioso detenuto e associazione di appartenenza sono presunti ma può essere data una complicata prova contraria). Un secondo fronte sono le misure patrimoniali, volute da Pio La Torre e Falcone per sottrarre alle mafie la “roba”. A prescindere da una condanna definitiva, lo Stato può confiscare beni a persone, la cui condotta faccia ritenere con sicurezza che li posseggano illecitamente.
La confisca (di prevenzione e ordinaria) è uno strumento che le cosche temono: le colpisce nelle tasche e – mediante la riassegnazione dei beni a enti pubblici e no profit – dimostra che la collettività sta meglio se la ricchezza non è nelle mani dei mafiosi.
Però tre ricorsi sono stati presentati alla Corte EDU da persone che hanno eccepito che le confische (sia antimafia sia ordinarie) senza condanna violino il principio della presunzione di non colpevolezza.
Nel caso di due imprenditori, condannati in primo grado per reati da colletto bianco e prescritti in appello, l’Italia è stata condannata per violazione della presunzione di non colpevolezza, nel contesto di una decisione illogica.
La Prima sezione della Corte ha sostenuto, da un lato, la confisca (ordinaria o di prevenzione) non è una pena ma una misura di restituzione alla collettività del maltolto (o del malaccumulato). Poi però ritenuto violata la presunzione d’innocenza a causa dell’irrogazione della misura patrimoniale.
Il giudice italiano alla Corte si è dissociato, evidenziando – tra l’altro – che è entrato in vigore (nell’UE) il regolamento n. 1260 del 2024, che prevede la confisca senza condanna (art. 15). L’Italia non potrebbe, quindi, eseguire la sentenza della CEDU senza rischiare una procedura d’infrazione nell’UE. Per questo l’Italia ha fatto ricorso alla Grande Chambre della Corte, per avere un altro verdetto ma il ricorso è stato respinto.
el secondo, il ricorso dell’indiziato (un residente a Latina ritenuto un trafficante di droga) il è stato, invece, addirittura dichiarato inammissibile perché un problema di presunzione d’innocenza non poteva neanche porsi. Il terzo, quello dei fratelli Cavallotti, sospettati di stare nell’orbita di affari dei vertici di Cosa Nostra (v. il Fatto quotidiano, 5 febbraio 2024) ma per motivi non persuasivi, sono stati assolti dai reati loro ascritti, ancora pende.
Data la persistente incertezza, sarà bene che Governo e Parlamento recepiscano al più presto la direttiva 1260.
Fonte: Il Fatto Quotidiano



