“Possiamo sempre fare qualcosa”. Questa massima che secondo Giovanni Falcone sarebbe stata da incidere “sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto” mi è frullata in mente durante le commemorazioni del 23 maggio.
Provavo a immaginare in quali nuove forme sociali praticarla finché da un altro mondo me ne è balenata una assolutamente imprevedibile: un progetto per realizzare assorbenti igienici lavabili. A perforarmi la fantasia è stata una mia laureata. Andata volontaria a insegnare italiano, inglese e francese alle ragazzine di un orfanotrofio africano.
“L’idea”, mi ha scritto Giulia dal Madagascar, “è nata lo scorso ottobre, a partire da una constatazione molto concreta: le ragazze dell’orfanotrofio in cui viviamo utilizzano semplici pezzi di stoffa, che piegano e sistemano nella biancheria intima. Affrontare apertamente questo argomento tabú non è stato semplice: le ragazze erano visibilmente in imbarazzo. Abbiamo quindi coinvolto le suore responsabili del foyer, che ci hanno successivamente confermato come questa pratica sia molto diffusa in Madagascar. Le donne che non dispongono di stoffa, soprattutto nelle zone rurali più povere, ricorrono addirittura a materiali organici raccolti nella natura”.
Non volendo imporre un punto di vista “esterno”, mi ha spiegato, “abbiamo parlato con molte donne malgasce e avviato una collaborazione con un’associazione eco-femminista di Antananarivo, la capitale. Il nostro obiettivo era creare un progetto utile, rispettoso, sostenibile e rispondente ai bisogni locali.
Dal momento che molte donne sono già abituate a lavare le proprie protezioni dopo l’uso, gli SHL (serviettes hygiéniques lavables) non rappresentano una novità assoluta, ma certo offrono un vero miglioramento in termini di igiene, comfort e dignità. Ad esempio un tessuto impermeabile che previene le perdite, una chiusura con bottone a pressione che li fissa alla biancheria, evitando spostamenti (e permettendo così anche di fare sport durante il ciclo), la possibilità di piegarli facilmente così da cambiarli durante il giorno, e una quantità sufficiente per affrontare l’intero ciclo mestruale in sicurezza.”
Questioni a me colpevolmente estranee. Ma l’elemento più importante del progetto -mi ha scritto Giulia- è che “saranno le allieve del centro di formazione in cui sto svolgendo il mio servizio di volontariato ad apprendere come realizzare gli assorbenti. La professoressa di cucito ha espresso l’intenzione di integrare questa attività nel programma didattico dei prossimi anni”.
Perciò, ed ecco entrare in gioco il vecchio prof, “abbiamo avviato una raccolta fondi destinata all’acquisto delle materie prime: tessuti, filo, bottoni a pressione e una macchina per applicarli. Sarà poi il laboratorio di cucito del centro a confezionare gli assorbenti. Obiettivo: raggiungere almeno 400 donne tra le ragazze del foyer, le allieve del centro di formazione e il personale educativo; in caso di riuscita, estendere il progetto agli altri quattro centri di formazione delle suore in Madagascar.
Il traguardo è realizzare 3.600 assorbenti. La raccolta resterà aperta fino al 19 giugno, data di conclusione dell’anno scolastico e del nostro servizio di volontariato.
Sa, con una donazione di 6 euro è possibile finanziare 9 assorbenti lavabili, ovvero il kit completo che verrà consegnato a ciascuna ragazza per coprire tutto il ciclo mestruale in modo sicuro e dignitoso”.
Una richiesta di aiuto dal Madagascar. Una prosa mai frequentata nella mia vita. Pratiche femminili. Un compito piccolo, apparentemente insignificante nel mondo dei grandi massacri. Ma mi sono commosso, e per tante ragioni. In fondo è andata lì a insegnare lingue. Perché avventurarsi in qualcosa che nessuno le ha chiesto? Per solidarietà.
Possiamo sempre fare qualcosa. Anche quello che non ci sarebbe mai venuto in mente. Dirlo e scoprirlo è differente, credetemi.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 02/06/2025



