“Ci rifiutiamo di vederli morire”. Con queste parole, l’Agence France-Presse (AFP) lancia un appello urgente per i suoi giornalisti nella Striscia di Gaza, oggi esposti al rischio concreto di morire di fame. È una situazione senza precedenti nella storia dell’agenzia, fondata nel 1944: nei conflitti passati si sono contati reporter uccisi, feriti o imprigionati, ma mai era stato necessario temere la morte per denutrizione.
A Gaza, l’AFP opera attualmente con un piccolo gruppo di collaboratori locali: un giornalista freelance, tre fotografi e sei videomaker. Sono loro a garantire una delle poche voci rimaste all’interno della Striscia, da cui i media stranieri sono esclusi da mesi. Il personale permanente dell’agenzia ha lasciato l’area all’inizio del 2024, e da allora la copertura giornalistica si regge interamente sul lavoro dei freelance, che vivono nelle stesse condizioni estreme dei civili.
Tra loro c’è Bashar, fotografo di 30 anni. In un post su Facebook ha scritto: “Non posso più lavorare nei media. Il mio corpo è troppo magro e non posso più camminare”. Bashar vive in costante fuga tra i campi profughi, soffre di problemi intestinali legati alle condizioni igieniche precarie e da oltre un anno è in uno stato di grave deprivazione. Domenica 20 luglio ha riferito che il fratello maggiore è morto per la fame.
Secondo l’agenzia di stampa, sempre più giornalisti non sono più in grado di lavorare a causa della malnutrizione. Le autorità sanitarie locali parlano ormai apertamente di carestia provocata da Israele. Il direttore dell’ospedale da campo di Al-Mawasi, il dottor Suhaib Al-Hams, ha lanciato l’allarme per una “ondata imminente di morti” legata a cedimento degli organi tra gli sfollati. Si moltiplicano i casi di esaurimento, perdita di memoria, debilitazione estrema: sintomi tipici della fame prolungata.
Oltre alle bombe – a Gaza l’esercito israeliano ha ucciso più di 300 giornalisti dal 7 ottobre 2023 – a uccidere chi testimonia il genocidio in diretta è ora la fame.



