Chiedere o disporre che un essere umano vada in prigione significa incidere sul bene supremo di cui dispone: la libertà. Sono dunque scelte che debbono essere attentamente soppesate e che incidono in profondità sulla coscienza di chi è chiamato a farlo e che tolgono il sonno.
L’estrema pericolosità della criminalità nel nostro Paese impone il ricorso a tale misura, sia pure quale estrema ratio. I nostri padri costituenti hanno fissato un principio di civiltà democratica: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, che costituisce il punto di partenza per avviare percorsi reali di recupero e di accesso ai valori della socialità e della legalità, che devono essere parametrati alla tipologia di detenuto, al grado di pericolosità, alla nazionalità dei ristretti (in larga misura stranieri) e all’essere costoro provenienti da fasce di emarginazione della società.
L’attuazione concreta si scontra con la realtà della situazione carceraria pervasa da numerose criticità, che rendono la materia estremamente complessa. Il sovraffollamento, numerosi suicidi, strutture fatiscenti, la carenza degli organici della polizia penitenziaria, procedure di recupero dei detenuti inadeguate, plurime strutture carcerarie si sono trasformate in agenzie del crimine, che gestiscono all’interno e all’esterno attività criminose, anche di tipo organizzato, che riescono a mantenere i rapporti con l’esterno con l’impiego di telefoni cellulari, gestione della violenza in seno alla struttura carceraria da parte di detenuti nei confronti di altri detenuti, anche permessanti, per ottenere supporto per far entrare lo stupefacente al loro rientro nella struttura, gravi episodi di violenza sessuale di detenuti nei confronti di altri detenuti per soddisfare pulsioni, collusioni e corruzione del personale della polizia penitenziaria, rivolte di detenuti.
A titolo esemplificativo, possiamo prendere in considerazione il caso del carcere pratese La Dogaia. L’avvio di attività investigative, dal luglio 2024 a oggi, ha consentito il rinvenimento di 47 telefoni cellulari (e 12 risultano essere stati e sono attivi), i detenuti sono risultati avere la disponibilità di più ruters per collegarsi alla rete internet, più detenuti in Alta Sicurezza continuano a gestire propri profili Tik Tok e sono stati sequestrati 25 quantitativi di droga. Due rivolte in carcere ravvicinate (la prima il 4 giugno 2025 e la seconda sabato 5 luglio 2025, con il proposito durante la stessa di sfondare i cancelli per evadere).
Al di là del caso citato, occorre ragionare su quali possano essere i rimedi, che richiedono scelte politiche e strategie giudiziarie appropriate.
Innanzitutto, vi è un’esigenza di prevedere e attuare in tempi brevi l’incremento degli istituti penitenziari, per consentire luoghi di custodia coerenti con la salvaguardia della dignità dei detenuti, e di procedere all’assunzione di altro personale.
Inoltre, vi è la necessità di stabilizzare le posizioni apicali in seno alle strutture carcerarie. È importante poter contare su un Direttore e un Comandante della struttura presente stabilmente, in modo che possano diventare punto di riferimento per i detenuti e il personale, che deve essere in numero adeguato per assicurare il monitoraggio costante di quanto avviene all’interno delle strutture penitenziarie, ivi compresi i movimenti dei detenuti ammessi alle attività lavorative, e per controllare attentamente i contenuti dei pacchi inviati ai detenuti.
La tutela dei detenuti richiede che le camere di sicurezza non possano rimanere aperte costantemente e non può essere consentito il movimento indiscriminato dei detenuti all’interno della struttura.
Il reinserimento sociale per essere efficace deve necessariamente tradursi in un’opportunità lavorativa, interna ed esterna. I detenuti possono essere impiegati in molteplici attività, come ad esempio si è fatto negli uffici giudiziari di Firenze, ove sono stati coinvolti nell’informatizzazione degli atti relativi ai processi inerenti alle sette stragi del biennio 1993-94.
La visione globale delle condotte che si verificano all’interno delle strutture, sul piano giudiziario, consente di adottare le strategie investigative più appropriate e la pronta disponibilità di adeguata strumentazione tecnica (come l’ IMSI Catcher, il cui impiego consente, a seguito dell’analisi sul campo di celle di risalire ai telefoni impiegati) è idonea a impedire che i detenuti in regime di Alta Sicurezza e Media Sicurezza continuino a utilizzare in seno alle strutture carcerarie telefoni cellulari e social network.
Per i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, occorre pensare a soluzioni che congelino la possibilità di comunicare con il mondo criminale esterno e quindi di continuare a esercitare il proprio potere dal carcere.
Vi è l’esigenza del monitoraggio investigativo dei soggetti più pericolosi per impedire la ripresa di attività delittuosa e il rischio recidivante, soprattutto sul terreno della criminalità organizzata. Vi sono stati casi clamorosi che sono lì a insegnarci quanto concreto sia tale rischio e l’esigenza del monitoraggio.
Cinquant’anni fa è stato introdotto l’ordinamento penitenziario, con la legge n. 345/75, con lo scopo principale di garantire il rispetto della dignità umana dei detenuti, il trattamento rieducativo e il loro reinserimento sociale.
Credo sia giunto il momento di rivedere quell’impianto nelle fondamenta, armonizzandolo con il mutamento della realtà carceraria del Paese, il rispetto autentico della dignità del detenuto e la tutela delle garanzie collettive dei cittadini.
* Procuratore della Repubblica di Prato
Fonte: Il Fatto Quotidiano



