Chiedono
giustizia, non certo vendetta. Sono genitori, figli, mogli, mariti,
parenti. Tutti hanno in comune la perdita di un caro per mano della
violenza mafiosa. Storie differenti, accomunate da un dolore
lancinante che ti segue per la vita. Un dolore che è sfociato nella
di ricerca giustizia, nella domanda di diritti, nel quotidiano
ricordo di storie, spesso dimenticate, e di straordinaria normalità.
Morti perché non si sono voluti piegare al sistema di “regole”
della malavita. Molti i parenti di vittima di mafia che hanno
partecipato alla giornata di riflessione e confronto organizzata da
Libera per la Seconda edizione di Contromafie. Riunirsi per dare
risposta “alla domanda di giustizia”, proprio come è stato
intitolato l’incontro tenuto al Campidolio oggi.
Tutor della
giornata di lavoro, Stefania Grasso, referente di Libera Memoria che
ha lavorato, collaborando con tutti i partecipanti, per stilare un
manifesto con nuove istanze da presentare alle istituzioni.
Relatori
dell’evento Roberta Bussolani, dell’ufficio legale di Libera; Ivan
Cepeda, giornalista boliviano; Franca Imbergamo, Magistrato della
Procura della Repubblica di Caltanissetta e Riccardo Romano,
psicoterapeuta.
La mattinata si
è aperta con l’analisi del manifesto approvato nel 2006, analizzando
gli obiettivi centrati e quanti ancora devono essere raggiunti.
“La vittima è
una vittima, ora non ci sono più distinzioni, è questo è un ottimo
risultato” spiega Roberta Bussoleni, sottolineando gli obiettivi
raggiunti da Libera. Rimane ancora aperta la questione del periodo
storico. Perché, anomalia del quadro normativo italiano, il nostro
Stato non riconosce lo status di vittima di mafia per omicidi
commessi prima del 1969. Una richiesta, questa, già avanzata tre
anni fa, ma mai tradotta da una norma. Così, per quelle perdite, è
concesso un differente trattamento, solo per una data. Una
discriminazione che tutti vorrebbero eliminare e per la quale Libera
ha rinnovato l’impegno su questo fronte.
Sul versante
giuridico, si è inserito l’intervento di Franca Imbergamo,
magistrato della Repubblica di Caltanissetta: “La distinzione
temborale è dettata da voluta ignoranza, tutti sanno le radici della
malavita”. Il dolore della vittima, purtroppo, spesso non può
trovare giustizia. Come indica il magistrato: “Sono molti i
procedimenti che non portano all’individuazione del colpevole, è
utile che lo status di vittima di mafia venga esteso a eventi
esaminati da commissioni inquirenti negli anni istituite dal
Parlamento”. Altro elemento utile per tutelare le vittime è,
secondo Franca Imbergamo, l’istituzionalizzazione del patrocinio
gratuito.
Altro scenario,
quello dipinto da Ivan Cepeda. Giornalista, figlio di un senatore
assassinato in Colombia e oggi attivista del “Movimento vittime
crimini di Stato”. Un paese distante migliaia di chilometri
dall’Italia, eppure le somiglianze sulla contaminazione tra apparati
deviati e stato sono impressionanti. Suo padre è caduto per mano dei
paramilitari, per un progetto voluto dalle alte cariche dello Stato.
“La mafia o il narcotraffico non sono comuni delinquenze- spiega
Cepeda- utlizzando la violenza hanno accumulato potere, ricchezza
sino ad arrivare ai posti di comando. In Colombia è oggi difficile
distinguere tra mafia e Stato”.
Per affrontare
a viso aperto il dolore procurato dalla viltà mafiosa, è stato
chiamato Riccardo Romano, psicoterapeuta.Un momento di confronto,
che ha portato molti parenti a raccontare la propria storia.
Ritornano in un passato doloroso, solo per far rivivere quel
sacrificio, affinchè non sia tutto vano. “Le persone sono
veramente morte quando si cancella la loro memoria”, sorrussa tra
le lacrime un ragazzo. Suo padre è stato raggiunto da due pallottole
alla tempia e poi sgozzato. Si era opposto al pagamento del pizzo.



