D’Alì e i soldi alla mafia trapanese

Trapani

“Le prove raccolte nei confronti del senatore Antonino D’Alì (trapanese, eletto in Senato dal 1994, Forza Italia e poi Pdl, ndr) hanno quasi delineato un quadro di partecipazione diretta all’associazione mafiosa”; l’accusa di 416 bis il senatore  D’Alì l’ha evitata perché per i pm “manca la prova della organicità alla mafia”, da qui il quasi utilizzato, ma per la Procura antimafia di Palermo restano “indiscutibili” singole sue condotte che rappresentano la prova del “concorso esterno”. Oggi a Palermo i pm Andrea Tarondo e Paolo Guido hanno cominciato la requisitoria nel processo che si svolge dinanzi al gup Giovanni Francolini contro il parlamentare trapanese che ha chiesto di essere giudicato col rito abbreviato. C’è nel processo il rapporto storico con i Messina Denaro, suoi campieri nei terreni posseduti nella contrada Zangara di Castelvetrano, rapporti “stretti” raccontati anche da diversi collaboratori di giustizia, Geraci, Sinacori, Cannella, Birrittella, Milazzo, ma ci sono sino ai giorni nostri le prove che toccano “grandi appalti” aggiudicati ad imprese mafiose “gradite” a Matteo Messina Denaro, il trasferimento nel 2003 di un prefetto, Fulvio Sodano, inviso ai mafiosi e non solo a loro, anche a certi politici, ci sono prove costituite da assegni, come quelli consegnati da Francesco Geraci a Tonino D’Alì, un paio di assegni tratti da un conto corrente del Monte dei Paschi di Siena (agenzia di Castelvetrano), per 100 milioni di vecchie lire ciascuno. Francesco Geraci era all’epoca un gioielliere e un mafioso, oggi è solo un collaboratore di giustizia, anche molto importante. Nella sua gioielleria custodiva il cosiddetto tesoro di Totò Riina, tenuto nascosto in un caveau al quale si accedeva attraverso una sorta di ascensore occultato dentro una cassaforte ben visibile nel negozio di gioielli tra i più in della città belicina, Geraci era il braccio destro di Matteo Messina Denaro, per suo contò pedinò nel 1993 a Roma il giornalista Maurizio Costanzo avendo l’ordine di ucciderli, ma in quello stesso anno sempre per ordine di Messina Denaro comprò da D’Alì un terreno pagandolo proprio con quegli assegni. Un pagamento alla vigilia delle elezioni nazionali del 1994 quelle nelle quali il politico sarebbe stato candidato e poi eletto al Senato. D’Alì si versò quegli assegni sui conti aperti presso la sua banca, la Banca Sicula, successivamente in diverse tranche restituirà in contanti quei denari a Geraci o ai fratelli di questi, ci penserà lo stesso senatore o suo fratello Pietro che oggi proprietario di terreni a Zangara si è scoperto mantenere come campiere un mafioso, come se nulla fosse, quasi confermando una abitudine di famiglia ad avere campieri “punciuti” dalla mafia.

La requisitoria prosegue il 24 maggio quando a prendere la parola sarà l’altro pm titolare delle indagini, Andrea Tarondo. Un magistrato che potenti mafiosi in contatto con la politica avrebbero voluto fare trasferire da Trapani dove ha condotto le indagini su mafia e impresa, e che pochi mesi addietro è stato oggetto di un incredibile tentativo di intrusione nella sua blindata, sebbene l’auto si trovava posteggiate nel parcheggio del Palazzo di Giustizia di Trapani, qualcuno avrebbe tentato di piazzarvi dentro una cimice. Oggi avevamo chiesto la possibilità di assistere alla discussione, col rito abbreviato il processo non è pubblico ma il codice prevede che se acconsente l’imputato è possibile far cadere questo divieto. Ma la difesa del senatore D’Alì si è opposta. Processo a porte chiuse. Il risultato ottenuto è stato quello che a Trapani oggi la notizia del giorno è stata quella della realizzazione di una maxi cassata siciliana, che può essere una “dolce” notizia, ma non la più importante mentre uno dei “padroni” politici della città, D’Alì per l’appunto, risponde di accuse gravi, come quelle di essere ancora oggi un riferimento di Matteo Messina Denaro. Tutto questo è successo nella giornata dedicata alla libertà di stampa e nel giorno in cui un maresciallo dei carabinieri ha raccontato che gli fu impedito di catturare il latitante Matteo Messina Denaro, super ricercato da 20 anni. Scavando agli atti del processo D’Alì forse si potrebbe trovare anche qualche cenno del perché Messina Denaro ancora oggi non viene arrestato, mentre accade che magari qualche indagato per combutte varie in questo nostro Paese degli inciuci riesce ad acciuffare la nomina a prefetto e poliziotti capaci sono costretti a battere in ritirata, promossi vero, ma costretti a stare in panchina.