Deportazione palestinese da Gaza con l’inganno. Trama oscura

Aereo

La notizia parte da lontano: Sudafrica e poi Stati Uniti, New York Times. Fonti ‘alte’.

Forse migliaia di abitanti di Gaza su voli misteriosi in Sudafrica si chiede cosa stia accedendo e come avviene. «A little-known group sold passage to desperate Palestinians who didn’t know their destination, catching the South African government by surprise». Un gruppo semisconosciuto ha venduto un biglietto aereo a palestinesi disperati che non conoscevano la loro destinazione, cogliendo di sorpresa il governo sudafricano. Ma sta accadendo in mezzo sud del mondo. Operazioni clandestine tra mafia e servizi segreti.

New York Times a garanzia

L’inganno, dalla truffa per soldi a molto peggio. Dall’americano all’italiano: una presunta e sconosciuta Organizzazione umanitaria che contatta una benestante famiglia palestinese a Gaza offrendo un volo via da Gaza per 1.600 dollari a persona su un conto crittografico. Denaro in anticipo. Forzatura ben congegnata per favorire prima il rifiuto per sospetta truffa e poi la fiducia. Poi un ‘opportuno amico fuggito da Gaza attraverso lo stesso gruppo, e si parte.

John Eligon è il caporedattore del Times a Johannesburg scopre ben oltre il caso singolo, ma interi voli charter di migranti palestinesi in fuga da Gaza. Viaggi orchestrati dalla ong fantasma Al-Majd Europe e il sospetto che siano funzionali a un piano politico di ‘svuotamento’ della Striscia. Trasferimenti non tracciati, modalità operative opache, partenze ‘secretate’ dall’aeroporto Ramon, nel deserto presso Eilat, scali anche in Europa e destinazioni finali spesso ignote

Le prime curiosità italiane

Michele Giorgio sul manifesto, come sempre. Accanto ai canali umanitari legittimi, zone grigie sempre più ampie. Tra questi, il nome che ricorre con maggiore insistenza è quello di Al-Majd Europe, una fondazione registrata in Germania che negli ultimi mesi è diventata protagonista di un’operazione di evacuazione tanto vasta quanto controversa. Si descrive come una ong tedesca fondata nel 2010, attiva nella protezione dei civili in zone di guerra.

Eppure, quando giornalisti africani e arabi hanno iniziato a verificarne l’esistenza reale, l’immagine ha iniziato a incrinarsi. L’indirizzo indicato come sede europea non risulta ospitare alcun ufficio operativo l’email istituzionale non funziona neppure con la scusa di una donazione, e le fotografie dei presunti dirigenti pubblicate sul sito sono state identificate come immagini generate da intelligenza artificiale.

Una voce ebraico-palestinese

Widad Tamimi ha studiato diritto internazionale alla SOAS di Londra e si occupa di rifugiati da molti anni. È nata apolide, da padre palestinese e una madre di origini ebraiche. La nostra guida nella sintesi dal manifesto. «Testate come Al-Quds al-Arabi, Felesteen ed Erem News descrivono la fondazione come un soggetto opaco, difficile da tracciare, con richieste di dati personali estremamente sensibili rivolte ai civili di Gaza: certificati familiari completi, recapiti di parenti all’estero, documenti finanziari e, secondo alcune testimonianze raccolte a Rafah, persino informazioni sui contatti avuti con ong europee e con autorità palestinesi». Un uomo di Khan Yunis ha raccontato: «Ci hanno chiesto tutto, persino se avevamo parenti in Turchia o in Malaysia. Sembrava più un interrogatorio che un’offerta di aiuto». Mancanza di trasparenza di un possibile coinvolgimento in operazioni politiche più ampie per favorire trasferimenti di popolazione.

Umanitari a pagamento

Inizialmente le evacuazioni venivano presentate come gratuite. Poi la situazione è cambiata. Testimonianze raccolte da Al Jazeera, Associated Press e media sudafricani parlano di cifre tra 1.500 e 5.000 dollari a persona. La ricostruzione delle rotte conferma elementi ancora più oscuri. Un percorso che parte da Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, prosegue sotto controllo israeliano fino all’aeroporto Ramon, a sud di Eilat, per poi spostarsi verso l’Africa. Nessun passaggio dalla Giordania, dove le evacuazioni sono rigidamente monitorate.

I voli decollano da un aeroporto controllato dall’esercito israeliano, senza documentazione chiara, per poi atterrare a Nairobi, in Kenya, e infine proseguire verso il Sudafrica. Molti passeggeri hanno dichiarato di non essere stati informati della destinazione: l’hanno scoperta una volta scesi dal velivolo. Una fonte palestinese ha raccontato di una rotta con primo volo verso Budapest, su un charter rumeno, e da lì destinazioni finali come Malaysia e Indonesia. Un attivista sudafricano, dopo aver visionato alcune carte d’imbarco, ha sostenuto che tra le destinazioni indicate comparivano anche India, Malaysia e Indonesia..

A Johannesburg 153 palestinesi in un colpo

Il caso è esploso all’arrivo in Sudafrica, quando un aereo charter proveniente dal Kenya è atterrato all’aeroporto di Johannesburg con 153 cittadini palestinesi. Tutti senza documenti validi, timbri d’uscita, certificazioni incomplete e procedure anomale. Il presidente Cyril Ramaphosa ha parlato pubblicamente di un arrivo «misterioso facilitato da attori esterni», affermando che quelle persone erano state «spinte fuori da Gaza in circostanze poco chiare».

La domanda chiave nei media arabi ed in quelli africani e internazionali è inquietante: chi beneficia realmente di questa operazione? Perché costruire un sistema di evacuazioni parallelo, costoso, privo di monitoraggio internazionale, con voli che passano per aeroporti militari e arrivano in Paesi ignari dell’operazione? Perché spostare i civili lontano dalla Striscia senza un coordinamento ufficiale con Onu, Unrwa o altri attori riconosciuti?

Modello avanzato di pulizia etnica

Molti analisti temono che queste pratiche possano inserirsi in una strategia più ampia di svuotamento demografico della Striscia, una dinamica di cui si discute da decenni. Non ci sono prove definitive, ma la somma di indizi, testimonianze e irregolarità alimenta i sospetti.

Una rete di evacuazioni parallele che non solo aggira i corridoi umanitari ufficiali, ma produce una dispersione geografica dei palestinesi, rendendo impossibile un monitoraggio coordinato e aprendo spazi a potenziali abusi. Restano ancora da chiarire il ruolo degli intermediari europei coinvolti negli scali, la natura dei contratti stipulati con le compagnie charter e il motivo per cui parte delle destinazioni non viene mai comunicata ai passeggeri. Un sistema che, dietro la promessa della salvezza, rischia di generare una nuova forma di dislocazione invisibile, una diaspora non dichiarata che si muove lungo rotte fuori da ogni garanzia internazionale.

Chi c’è dietro Al-Majd Europe?

Si moltiplicano anche le domande sul possibile finanziamento delle operazioni. Fondi difficili da tracciare: donazioni private provenienti da Paesi del Golfo, trasferimenti attraverso piattaforme di pagamento non regolamentate e, secondo una fonte palestinese con conoscenza diretta del settore delle ong, possibili contributi da intermediari europei che operano in maniera semi-clandestina nel campo della logistica umanitaria.

Molto da Servizi segreti con le coperture necessaria. «Una costellazione di micro-finanziatori: piccole raccolte fondi, canali paralleli, fondazioni di facciata che muovono somme relativamente modeste ma sufficienti a far decollare un charter». Numerosi gazawi hanno riportato di essere stati contattati tramite numeri sconosciuti, spesso registrati all’estero o associati a Sim temporanee. In più di un caso, le chiamate provenivano da prefissi europei, tra cui Germania e Paesi Bassi.

E gli scali europei, dove e come?

Dubbi simili emergono nella gestione dei voli europei utilizzati come scali. Voli charter, spesso operati da compagnie dell’Est Europa, con destinazioni come Budapest o Bucarest. Alcuni documenti di viaggio mostrano carte d’imbarco emesse da Fly Lili e da altre piccole compagnie charter, con tratte che non compaiono nei registri dei voli commerciali.

Ora una fonte diplomatica europea ha ammesso che «sono avvenuti movimenti non registrati nel traffico commerciale standard», senza specificare la provenienza dei passeggeri. Procedure di imbarco all’aeroporto Ramon per non lasciare tracce. L’arrivo all’aeroporto non avveniva attraverso i terminal destinati ai voli internazionali, ma da ingressi secondari solitamente utilizzati per il personale o per voli militari. Ramon è spesso utilizzato per operazioni con alto grado di controllo e basso livello di visibilità, grazie alla sua posizione remota nel deserto e alla presenza ridotta di voli commerciali

Evitare la Giordania

Gli interessi geopolitici israeliani dietro l’utilizzo dell’aeroporto Ramon. Permette a Israele di controllare ogni fase del trasferimento, di evitare la supervisione internazionale in un corridoio mediato da organismi come Onu o Unrwa e di spostare i gazawi lontano da punti sensibili come i valichi egiziani o giordani, dove il peso diplomatico dei Paesi arabi tende a imporre condizioni più rigide.

Una fonte mediorientale vicina agli ambienti diplomatici di Amman sostiene che l’uso di Ramon risponde a una strategia più ampia: impedire che le evacuazioni avvengano attraverso la Giordania, dove ogni passaggio verrebbe immediatamente registrato e sottoposto a controlli multilaterali. «Se passassero da Amman, la comunità internazionale vedrebbe numeri, liste, destinazioni. Avrebbero trasparenza. Ramon è pensato per garantire l’opacità».

‘Alleggerire’ la popolazione di Gaza

Da anni in Israele si discute della possibilità di «alleggerire» la densità di popolazione a Gaza favorendo la migrazione. Alcuni Paesi mediorientali sono stati contattati informalmente per accogliere «piccoli numeri» di gazawi in fuga. Ma il flusso sarebbe diventato un fiume.

«Anche all’interno di Israele, le evacuazioni attraverso Ramon hanno suscitato reazioni contrastanti tra apparati di sicurezza, governo e società civile. Alcune testate indipendenti hanno sollevato interrogativi sulla natura delle operazioni. Un ex funzionario del Ministero della Sicurezza pubblica, intervistato in anonimato, ha dichiarato che ‘Ramon è stato utilizzato come un laboratorio operativo, una zona grigia dove sperimentare forme di gestione della popolazione fuori dai protocolli ufficiali’», conclude la sua lunga indagine Widad Tamim.

«Nel silenzio dei corridoi oscuri che portano da Kerem Shalom a Ramon, negli scali nascosti d’Europa, nelle rotte sconosciute che conducono in Africa e in Asia, si consuma una trasformazione profonda del tessuto umano palestinese. Una trasformazione che solleva la domanda più difficile: quanta parte di questo movimento è davvero scelta, e quanta parte è il risultato di una pressione invisibile che spinge i gazawi lontano dalla loro terra, in un viaggio senza ritorno che nessuno ha il coraggio di chiamare con il suo nome».

Fonte: Remocontro