“Donne che resistono” ovvero la lezione delle Fosse Ardeatine e la memoria del Paese

Ponzani per articolo ermini

Venerdì 31 ottobre a San Pancrazio, nel comune di Bucine in provincia di Arezzo, dove nel giugno del 1944 le truppe tedesche e in particolare la divisione corazzata “Hermann Göring”, uccisero 58 persone, in gran parte civili, la storica Michela Ponzani ha presentato il suo ultimo libro “Donne che resistono”.

Nel suo racconto Michela era accompagnata da Filippo Boni giornalista, scrittore, oggi consigliere della Regione Toscana che ha scritto libri per fare memoria e che su questi temi ha la sensibilità giusta per dialogare con la professoressa romana.

Ne è nata una serata intensa, emozionante, dove la verità storica dei fatti è emersa in tutta la sua chiarezza, perché una vera pacificazione nasce solo dopo aver fatto i conti con la realtà.

Il libro racconta la vera storia di quanto avvenuto alle Fosse Ardeatine, una delle stragi che più è rimasta impressa nell’immaginario collettivo del nostro paese.

E in quella strage dove morirono 335 uomini, compresi ragazzi di poco più di 14 anni, il ruolo delle donne è fondamentale, perché furono loro a voler conservare la memoria di quanto accaduto.

Michela Ponzani nella sua presentazione parte però dell’attualità, da quanto è successo a Parma in questi giorni, dove un gruppo di giovani intona cori fascisti e inni al duce nella sede di Parma di Fratelli d’Italia, utilizzata anche dal movimento giovanile del partito, Gioventù nazionale.

Un fatto grave dice Michela, perché quei ragazzi si sentono protetti in alto.

Noi – continua – siamo il paese del fascismo e delle stragi e non dobbiamo disperdere la memoria di quanto è accaduto. È la Repubblica che ha deciso di accogliere i fascisti dopo che il 22 giugno 1946, un decreto emanato dal Ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti favorì la pacificazione nazionale dopo la guerra, non certo il Movimento Sociale Italiano che li ha trasformati in una forza democratica.

Il fascismo ha abbattuto lo stato liberale a colpi di violenza. Il fascismo voleva abbattere il parlamento, già dalla sua nascita, lo dice lo stesso Mussolini nel 1921,nel congresso di costituzione del partito.

In Italia oggi si cerca di attuare una defasticizzazione del fascismo.

Il compito dello storico è far venire meno le falsità come per esempio quella di scardinare la resistenza attraverso false accuse ai partigiani.

Michela inizia a parlare della strage delle Fosse Ardeatine dalla sua storia familiare, dai racconti del nonno che la portava a visitare il mausoleo per ricordare un suo grande amico, che lì era stato ucciso.

Da qui nasce questo libro per capire, come mai, ancora si possa pensare che i veri mandanti del massacro siano stati i partigiani che non si erano consegnati dopo aver ucciso dei nazisti in via Rasella.

Combattere durante la resistenza, essere partigiano, voleva dire sentire la responsabilità per la libertà che i fascisti prima e i nazisti durante l’occupazione, ci avevano tolto. La scelta di eliminare i civili in quel tempo era cercare di fare terra bruciata attorno alla resistenza.

L’attentato di via Rasella fu contro una colonna militare di 162 uomini armati, istruiti per attaccare i partigiani, non contro una banda musicale. Questo è il fatto storico accertato. Dunque un’azione di guerra. È il 23 marzo 1944 e rimasero uccisi 33 soldati, mentre la strage di civili e militari da parte dei nazisti (con l’aiuto dei fascisti che consegnarono loro oltre 100 delle persone che saranno uccise) avvenne il 24 marzo senza nessun preavviso.

Dopo la strage le storie dei caduti si intrecciano con le vedove e le madri di quelle persone.

Si ritrovano i loro corpi solo nel luglio del 1944 solo grazie alle pressioni fatte da quelle donne sugli alleati, dopo la liberazione di Roma, che invece volevano chiudere e sigillare definitivamente quel luogo.

Non solo saranno identificate tutte le persone (occorreranno 5 anni), ma quelle donne decidono di trasformare quel posto in un luogo della memoria attraverso le storie delle persone cadute.

Amori distrutti, condivisione di idee e valori, quel luogo in quei lunghi anni diventa uno spazio di pellegrinaggio grazie a queste donne che vogliono dare un nome a tutti i corpi dei loro cari.

Esiste un filmato girato da Luchino Visconti sul ritrovamento dei corpi.

Nonostante questo loro impegno di tramandare la memoria di quella strage, i familiari delle Ardeatine non hanno un grazie dal loro paese.

Anzi si chiede loro, dopo gli arresti compiuti a distanza di decenni dalla strage dei colpevoli, di avere pietà dei vecchi nazisti che vengono processati.

Quelle donne e i loro figli chiedono solo giustizia e non vendetta.

Di un ragazzo di 19 anni l’ultimo ad essere giustiziato, un giovane socialista (si chiamava Gastone), restano solo un arto, un lembo del vestito, una ciocca di capelli bianchi. Quei capelli di un giovane sono diventati bianchi a causa del terrore provato ad aver assistito alla morte precedente dei suoi 334 compagni. Durerà ore quella strage e si è uccisi con un colpo alla testa, stando sopra ai corpi delle altre persone.

Sono storie dolorose, occorre una lunga elaborazione del lutto per superarle, e anche noi si devono rivivere quelle emozioni attraverso la lettura, per dare senso a queste tragedie, per trasformare quel dolore in un impegno civile.

Non dobbiamo lasciare sole le persone che hanno vissuto questi lutti, e fare memoria è un modo di presidiare la nostra Repubblica, i valori su cui si fonda la nostra convivenza civile e sociale, da un’anima nera che ogni tanto riemerge, anche se in modo diverso.

Siamo noi, testimoni del nostro tempo, essendo non sudditi ma cittadini sovrani, che dobbiamo saper esercitate la nostra sovranità, riscoprendo il gusto e il valore di sentirsi cittadini attivi. Si muore sempre per qualcuno e qualcuno si ricorda di quella persona morta.

Chi ha pensato la strage delle Fosse Ardeatine voleva che quelle uccisioni fossero senza nome, silenziose, senza responsabilità.

Quelle donne che hanno resistito grazie all’amore per i loro cari, non hanno permesso che ciò accadesse e quei morti hanno un nome, una storia, un amore.

La nostra Repubblica è l’apparire delle cose impossibili – diceva Altiero Spinelli – e quelle donne ne sono la migliore rappresentazione.

La memoria è un percorso di pacificazione attraverso la verità.

Grazie a Michela Ponzani, a Filippo Boni, e all’associazione Luoghi della Memoria per questa bellissima serata.


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