Giustizia, il tema è il tempo non le carriere

Giustizia tribunale

La riforma della “separazione delle carriere” tra Pm e giudici sembra arrivata all’ultimo miglio parlamentare, grazie alla tenace ossessione di gran parte degli avvocati e all’irriducibile dedizione alla causa dei politici di centro-destra.

Tra questi primeggia il ministro Nordio, sempre pronto a rivendicare per le sue idee un marchio DOC, perché lui “sa” in quanto vecchio Pm. “Sa” e garantisce, chiedendo un atto di fede, che non si avranno quelle ricadute negative sull’indipendenza del Pm che molti invece – a partire dal CSM – ritengono inevitabili.

Mentre non a caso la separazione delle carriere fra Pm e giudici era nel programma di Licio Gelli e Silvio Berlusconi.

L’ultima parola spetterà comunque al referendum popolare previsto dalla legge. E al momento di votare (premesso che ovunque nel mondo vi sia separazione delle carriere il Pm deve ottemperare alle direttive del Governo) si dovranno tenere in debito conto anche alcuni concreti profili della realtà italiana.

Rispetto alle altre democrazie europee il nostro Paese costituisce un “caso” per il concorso di alcuni specifici fattori: la  resilienza  della corruzione, capace di sopravvivere e  riemergere anche dopo durissimi colpi (di qui la formula “corruzione sistemica”); la storica collusione con la mafia di pezzi della politica e del mondo degli affari; la pretesa, da parte di molti  politici, di sottrarsi alla giustizia comune in forza del consenso ricevuto (nel momento stesso in cui la responsabilità politica e morale sono diventate ferri vecchi da relegare in soffitta); la sistematica  delegittimazione dei magistrati che si ostinano a voler applicare la legge in maniera uguale per tutti, compresi i ricchi, i potenti e i politici.

È in questo quadro che va inserito il dibattito sulla ”separazione delle carriere” fra Pm e  giudici. Così si potrà capire che nel nostro Paese essa non è altro che il culmine della strategia di mortificazione della magistratura (soprattutto requirente) in atto da anni: perché il libero esercizio della giurisdizione sia alla fine  sterilizzato, subordinando il Pm al potere esecutivo, felice di “indirizzare” specialmente quando si tratta di imputati “eccellenti” che impunità van cercando.

In ogni caso, spacciare la separazione come riforma della giustizia è come il gioco delle tre carte: perché la separazione delle carriere non incide minimamente sul problema dei problemi, vale a dire la vergognosa interminabile durata dei processi.

Su questo versante la separazione è solo fuffa (chiacchera senza fondamento), perché non riduce neanche di un nanosecondo tale interminabile durata. E il cittadino, invece di avere un servizio giustizia degno di questo nome, come è suo diritto, dovrà continuare ad accontentrasi di un sistema che troppo spesso si risolve nell’insopportabile scherno di una giustizia di fatto denegata, soprattutto a coloro (i più deboli, i meno protetti) che maggiormente ne avrebbero bisogno.

Fonte: Corriere della Sera/Torino