Giustizia, via libera alla separazione delle carriere. Scontro in Senato, verso il referendum

Riforma giustizia

Meloni: ‘Traguardo storico’. Le opposizioni: ‘No ai pieni poteri’. Marina Berlusconi: ‘Vittoria di papà’.

Il Parlamento ha approvato definitivamente la riforma che introduce in costituzione la separazione delle carriere dei magistrati.

Il sì del Senato, con 112 voti a favore, 59 contrari e 9 astensioni, ha concluso le quattro letture previste dalla Costituzione per le modifiche della stessa Carta.

Il confronto, anzi lo scontro, si sposta ora dalle Aule alle piazze e ai media, visto che sia la maggioranza che le opposizioni hanno annunciato di voler promuovere un referendum confermativo. Il referendum “deve essere una consultazione sulla giustizia. Intanto perché non ci saranno in ogni caso conseguenze per il governo. Ovviamente noi arriveremo alla fine della legislatura, chiederemo agli italiani di essere giudicati per il complesso del lavoro che abbiamo fatto ma anche perché voglio ricordare a tutti che i governi passano e invece le leggi, soprattutto quelle costituzionali, rimangono e incidono sulla vita dei cittadini. Quindi io penso che sia una scelta più facile. Chi pensa che nella giustizia vada tutto bene, voterà contro la riforma, quindi voterà no. Chi pensa che invece possa migliorare, voterà a favore della riforma e quindi voterà sì”, ha commentato la premier Giorgia Meloni parlando anche di una “occasione storica per una giustizia più giusta” .

Si tratta di una consultazione, diversamente dal referendum abrogativo, in cui non c’è quorum, con la conseguenza che vincerà chi saprà mobilitare il proprio elettorato, sempre più restio a recarsi nei seggi. Oltre allo scontro politico va registrato quello tra maggioranza e magistratura, con l’Associazione nazionale magistrati (Anm) pronta a promuovere un comitato per il No, e il ministro Carlo Nordio che ha aperto alla collaborazione sulle future leggi di attuazione. La seduta decisiva di Palazzo Madama si è svolta in un clima ordinato, tranne quando gli scranni del centrodestra si sono infiammati per le parole di Roberto Scarpinato (M5s).

L’ex magistrato ha negato che “Berlusconi, Previti, Dell’Utri” ed altri esponenti di Fi siano stati “perseguitati dalla magistratura”; “i cittadini non se la bevono” ha detto, dopo che l'”azzurro” Pierantonio Zanettin aveva sostenuto questa tesi. In tribuna, invitati proprio da Fi, tre persone vittime di errori giudiziari. Probabilmente un assaggio di uno degli argomenti che il centrodestra utilizzerà nella campagna referendaria. E un anticipazione dei temi che useranno le opposizione è stato il cartello da loro esposto al momento del voto: “No ai pieni poteri”.

Sia Elly Schlein sia Giuseppe Conte, dopo il voto hanno infatti mosso questa accusa a Giorgia Meloni e al suo governo: “vuole le mani libere”, ha detto Schlein, riferendosi anche all’attacco di mercoledì sera della premier e del governo contro la Corte dei Conti, che aveva bocciato la delibera del Cipess sul ponte sullo Stretto. Analogo il ragionamento di Conte: “Vogliono pieni poteri e noi li contrasteremo in ogni modo”. Forza Italia si intesta la riforma, dedicata dagli “azzurri” a Silvio Berlusconi, le cui immagini sono state innalzate a piazza Navona in una festa organizzata da Fi. “Quella di oggi è la vittoria di mio padre, Silvio Berlusconi” ha detto la figlia Marina. E altrettanto fa la Lega, che tre anni fa promosse su questo dei referendum abrogativi che però non raggiunsero il quorum. Nel referendum confermativo che si svolgerà in primavera non ci sarà il quorum e il ministro Carlo Nordio ha auspicato che la campagna non sia “politicizzata” e che riguardi il “merito” della riforma. Anzi il Guardasigilli si è detto pronto a un confronto Tv con l’Anm, invitandola ad evitare “l’abbraccio” con le opposizioni, perché sarebbe una “catastrofe”, che porterebbe alla delegittimazione delle stesse toghe.

L’Anm, a sua volta, ha parlato di “insofferenza” del governo per i controlli, dopo l’attacco alla Corte dei Conti. “Questa riforma altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”, ha poi affermato la giunta dell’Anm. Non mancano inaspettate prese di posizioni, come quella di Antonio Di Pietro che ha annunciato il suo sostegno alla riforma e l’intenzione di voler fare campagna, a fianco degli esponenti del partito di Berlusconi, che lui definì “peggio di Saddam Hussein”.

Fonte: Ansa


Riforma della Giustizia, dal via libera del Parlamento al referendum: cosa prevede l’iter

L’articolo 138 della Costituzione e cosa comporta.

Giorno di festa per i partiti di maggioranza in prima linea a celebrare il raggiungimento in Senato dell’ultimo traguardo parlamentare della riforma di Giustizia sulla cosidetta separazione delle carriere. Ma l’iter della riforma, voluta dal ministro Carlo Nordio, non si conclude con il via libera dei senatori e il governo di Giorgia Meloni per portare a casa il risultato dovrà prepararsi al referendum, chiedendo al popolo di approvare o respingere la riforma.

Cosa dice la Costituzione

In Italia infatti una legge costituzionale segue un procedimento diverso rispetto a una legge ordinaria e il ddl in questione è stato votato sia alla Camera che in Senato dalla maggioranza assoluta dei parlamentari, non dalla maggioranza dei due terzi che rappresenta il quorum necessario per evitare la consultazione popolare attraverso referendum confermativo (art. 138 della Costituzione).

Cosa si legge nell’articolo 138 della Costituzione? “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione” e “sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”.

Cosa succede adesso

Come si evince dall’articolo 138, senza referendum non c’è riforma, dal momento che la legge costituzionale sulla giustizia non ha raggiunto i due terzi dei voti in Parlamento. Dovranno pertanto essere i cittadini a confermare con il ‘sì’ o a respingere con il ‘no’ la legge costituzionale approvata dalle Camere. E potranno farlo solo se il referendum sarà richiesto entro tre mesi da un quinto dei membri di una Camera, da 500mila elettori o da cinque consigli regionali. Con il via libera di Palazzo Madama, il Governo dovrà quindi prepararsi ad un nuovo round: la campagna referendaria.

Fonte: Adnkronos


Riforma giustizia, ok definitivo: ecco cosa contiene il testo

Con la quarta approvazione tra Camera e Senato, la riforma costituzionale sulla giustizia è definitiva. Il testo introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, due Consigli superiori e un’Alta Corte disciplinare. Nei prossimi tre mesi è atteso il referendum confermativo. Restano divise le posizioni politiche e della magistratura.

Con la quarta deliberazione tra Camera e Senato, la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere dei magistrati è giunta alla fine del suo iter parlamentare.

Ma perché diventi legge, modificando il testo del titolo IV della Carta, bisognerà attendere ancora tre mesi, durante i quali certamente verrà richiesto un referendum “confermativo”, dal cui esito dipenderà la sorte effettiva della riforma. Sono titolati a richiederlo un quinto dei membri di ciascuna Camera, cinque Consigli regionali o 500mila elettori, ed è fuori discussione che le opposizioni – con posizioni differenziate per Azione e Italia Viva – attiveranno la procedura con l’obiettivo non solo di neutralizzare la modifica costituzionale, ma anche di dare un colpo politicamente decisivo alla premier Meloni. Non è richiesto alcun quorum, e ciò rende questo referendum particolarmente insidioso per il governo. Tuttavia anche nella maggioranza ci si prepara a richiedere la verifica popolare, sfidando le opposizioni sul loro terreno.

Due Consigli superiori distinti

In Senato, per l’ultima deliberazione, i voti favorevoli sono stati 112, i contrari 59, gli astenuti 9. La prima deliberazione del Senato si era svolta il 22 luglio, le due della Camera il 16 gennaio e il 18 settembre. Il disegno di legge era stato licenziato dal Consiglio dei ministri il 29 maggio dello scorso anno. Il nome tecnico del testo, letteralmente “blindato” dall’esecutivo e approvato a tappe forzate dal Parlamento senza alcuna variazione, è “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”. Il cuore della riforma è la separazione tra i magistrati “giudicanti” e quelli “requirenti”, tra chi emette sentenze e i pubblici ministeri. Il ddl modifica, a questo fine, il titolo IV della Costituzione.

Se la riforma diventerà legge, bisognerà ovviamente riscrivere le norme sull’ordinamento giudiziario, che dovrà regolare separatamente i percorsi professionali delle due categorie di magistrati. Intanto, però, è stata profondamente cambiata l’architettura istituzionale con la previsione di due organi di autogoverno: ci saranno infatti due Consigli superiori, entrambi presieduti dal capo dello Stato, com’è ora per il Csm unitario. Il Consiglio superiore della magistratura giudicante avrà come membro di diritto il primo presidente della Corte di cassazione, mentre nel Consiglio superiore della magistratura requirente siederà di diritto il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti di ciascuno dei Consigli superiori saranno estratti a sorte: per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e, per i restanti due terzi, rispettivamente tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti. I vicepresidenti di ciascuno degli organi saranno eletti fra i componenti “laici”, cioè non togati, sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.

Alta Corte disciplinare e divisione di opinioni

Altra novità istituzionale di rilievo è l’Alta corte disciplinare, un organismo che avrà giurisdizione sia sui magistrati ordinari sia sui requirenti. L’Alta corte sarà composta da quindici magistrati selezionati con le seguenti modalità: tre componenti nominati dal presidente della Repubblica tra i professori universitari in materie giuridiche e gli avvocati con almeno vent’anni di esercizio; tre componenti estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento in seduta comune tra soggetti con i medesimi requisiti di quelli di nomina quirinalizia; sei componenti estratti a sorte tra i magistrati giudicanti e tre fra i magistrati requirenti, con almeno vent’anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgono o hanno svolto funzioni di legittimità (in pratica la Cassazione). Il presidente dell’Alta corte sarà nominato tra i membri scelti dal capo dello Stato o dal Parlamento.

Sulla riforma si confrontano opinioni radicalmente divergenti. Per i favorevoli si tratta di un’operazione necessaria per assicurare la terzietà dei giudici rispetto all’iniziativa dei pubblici ministeri e per limitare l’influenza delle “correnti” della magistratura, e quindi la sua politicizzazione. Per i contrari, invece, si tratta di un provvedimento punitivo nei confronti dei magistrati, con l’obiettivo di ridimensionare la loro autonomia e indipendenza rispetto al potere politico, in particolare cercando di condizionare in senso filogovernativo l’attività delle procure. Particolarmente contestata è l’opzione del sorteggio.

Fonte: AgenSIR


Approvata la riforma della Giustizia, Nordio: “Spero in un referendum non politicizzato”

Passa con 112 sì la legge che modifica l’ordinamento giudiziario: separazione delle carriere, due CSM con membri sorteggiati per ridurre l’influenza delle correnti. Opposizioni all’attacco.

La riforma costituzionale della giustizia è stata approvata nell’aula del Senato con 112 voti a favore, 59 contrari e 9 astenuti.

È l’ultimo atto: in mattinata l’aula del Senato erano iniziate, alla presenza del ministro Guardasigilli Carlo Nordio, le dichiarazioni di voto sul ddl che è stato votato per la quarta e ultima lettura parlamentare conforme, secondo le previsioni dell’articolo 138 della Costituzione.

I senatori dell’opposizione issano cartelli: “No ai pieni poteri”

I senatori del Pd, del M5s e di Avs protestano contro l’approvazione della riforma, appena votata al Senato, mostrando cartelli con la scritta “No ai pieni poteri”. Nello schieramento opposto, dai banchi del centrodestra si sono sentiti applausi subito dopo il voto.

“Il prossimo step sarà il referendum. Mi auguro che venga mantenuto in termini pacati, razionali e non politicizzati, nell’interesse della politica e soprattutto della magistratura, alla quale mi sento ancora di appartenere” ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dopo il via libera definitivo. “Non si tratta di una legge punitiva contro la magistratura” ha precisato il Guardasigilli. “Fu Giuliano Vassalli, eroe della Resistenza, a proporre per primo la separazione nel suo Codice di procedura penale. Trovo improprio parlare di attentato alla Costituzione”. “Certamente mi spenderò in prima persona” sul referendum sulla separazione delle carriere, ha precisato Nordio.

“Ringrazio il Parlamento, tutti i colleghi dell’opposizione a cominciare da loro. Questa è la regola della democrazia. La maggioranza è stata ottima. Era una risoluzione nel programma di governo” ha anche detto il titolare di via Arenula. “ bene che la magistratura, come io auspico, esponga tutte le sue ragioni tecniche razionali che possono meditare contro questa riforma. Ma, per l’amor del cielo, non si aggreghi – come effettivamente ha già detto, ammesso e io lo ringrazio il presidente Parodi – a forze politiche per farne una specie di referendum pro o contro il governo. Questo sarebbe catastrofico per la politica, ma soprattutto per la stessa magistratura”.

Ronzulli: “Con la riforma realizzato il sogno di Berlusconi”

“Abbiamo lottato, resistito e insistito con determinazione per oltre trent’anni, ma finalmente ce l’abbiamo fatta. Oggi separiamo le carriere e uniamo l’Italia nella fiducia verso il sistema giudiziario. Con l’approvazione di questa storica riforma, inizia l’era di una vera imparzialità, la bilancia della giustizia torna ad essere equilibrata, si restituisce credibilità alla magistratura e speranza ai cittadini. Siamo orgogliosi di aver realizzato il sogno di Silvio Berlusconi, che ha creduto fino all’ultimo giorno in questa riforma. Il sogno di un’Italia dove inchieste e processi non siano mai più usati come clave per abbattere per via giudiziaria l’avversario. Ora l’ultima parola spetta al referendum, agli italiani, per dire sì alla libertà, alla certezza del diritto, ad una giustizia davvero giusta” ha commentato la senatrice di Forza Italia e vice presidente del Senato, Licia Ronzulli.

L’aula si infiamma durante l’intervento di Scarpinato

L’aula del Senato si è infiammata durante l’intervento di Roberto Scarpinato che ha dichiarato il voto contrario di M5s alla separazione delle carriere. “Ci sono italiani anche di destra – ha detto Scarpinato – che non se la bevono che Berlusconi, Dell’Utri, Cosentino, D’Alì, Formigoni sono stati vittime di persecuzione dei magistrati”. È partita la contestazione dai banchi di Fi, con il presidente La Russa costretto a richiamare alcuni senatori, a partire dalla vicepresidente Ronzulli. Si sono levati grida e “buuuu” contro Scarpinato, a sua volta sostenuto dagli applausi dei senatori del suo gruppo. Scarpinato ha poi sforato i dieci minuti dell’intervento e dai banchi del centrodestra diversi senatori hanno gridato “basta”, facendo però arrabbiare La Russa che ha rintuzzato “i tempi dell’intervento li decido io”.

Meloni: “La politica ha fatto la sua parte, ora la parola ai cittadini”

“Oggi, con l’approvazione in quarta e ultima lettura della riforma costituzionale della giustizia, compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini. Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani” scrive sui social Giorgia Meloni. “Governo e Parlamento hanno fatto la loro parte, lavorando con serietà e visione. Ora – riprende la presidente del Consiglio – la parola passerà ai cittadini, che saranno chiamati ad esprimersi attraverso il referendum confermativo. L’Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento, per il bene della nazione e dei suoi cittadini. Perchè un’Italia più giusta è anche un’Italia più forte” conclude la premier.

Opposizioni all’attacco: “Meloni vuole le mani libere”

Le opposizioni accusano la presidente del Consiglio di volersi mettere al di sopra della legge. “No ai pieni poteri”, il cartello esibito oggi nell’emiciclo di palazzo Madama dalle opposizioni. Concetto su cui insiste Elly Schlein, che ha convocato una conferenza stampa in Senato con i capigruppo Pd, subito dopo l’ok alla riforma.  ”Lo ha chiarito la stessa presidente Meloni, con le sue dichiarazioni sul Ponte di Messina: questa riforma serve ad avere le mani libere e porsi al di sopra della Costituzione”.

Giuseppe Conte è sulla stessa linea: “Meloni attacca l’indipendenza  dei poteri? Credo sia un obiettivo politico quello di sottrarsi a qualsiasi controllo della magistratura, a pesi e contrappesi”. E anche Avs: “Il suo unico obiettivo è quello di minare e indebolire  l’indipendenza e l’autonomia della magistratura per sottoporla al  controllo politico del Governo”, incalzano Angelo Bonelli e Nicola  Fratoianni.

Si articola diversamente invece il ‘centro’. Carlo Calenda vota con il centrodestra (l’altro senatore di Azione Marco Lombardo si astiene), mentre Iv si astiene ma Matteo Renzi mette in guardia le altre opposizioni: “Se pensate di costruire una piattaforma sulle  rivendicazioni della Anm state cacciando dal centrosinistra un sacco  di gente riformista”. Anche Più Europa è critica: la riforma, dice  Riccardo Magi, “non fun-zio-ne-rà ma a questa destra serviva piantare  una bandierina costituzionale senza porsi troppe domande e soprattutto senza dare risposte”.  Intanto, partirà la raccolta firme tra i parlamentari per il  referendum. Lo hanno già annunciato Pd, M5S e Avs. “Di fronte a questa svolta autoritaria abbiamo il dovere di mobilitarci nella società – dicono Bonelli e Fratoianni – e per questo raccoglieremo le firme tra  i parlamentari, insieme alle altre forze dell’opposizione, per  promuovere il referendum e cancellare con il voto popolare questa controriforma”.

L’ANM: “Riforma che altera l’assetto dei poteri e non migliora il servizio della giustizia”

“Questa riforma altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Una riforma che non rende la giustizia più rapida o più efficiente ma la rende più esposta all’influenza dei poteri esterni. Una riforma che non aumenta il numero dei magistrati, che resta tra i più bassi in Europa, né colma le lacune dell’organico amministrativo. Una riforma che non investe risorse per far funzionare meglio il sistema giustizia ma rischia al contrario di triplicare i costi con lo sdoppiamento del Csm e l’istituzione dell’Alta corte disciplinare. Le nostre preoccupazioni sono peraltro condivise anche dal relatore speciale sull’indipendenza di giudici e avvocati delle Nazioni Unite” dichiara la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati in una nota, dopo l’approvazione definitiva della riforma.

Il testo originario prodotto dal Governo e firmato dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e da Nordio, non è stato mai modificato dal Parlamento.

Il passo successivo sarà il referendum confermativo, per il quale tanto la maggioranza quanto l’opposizione hanno fatto sapere di essere intenzionate ad avviare le procedure (firme di un quinto dei parlamentari di una Camera o di 500mila elettori o richiesta da parte di cinque Consigli regionali).

Fonte: Rainews


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