Francesco Ghianda, ritenuto dagli investigatori vero reggente della famiglia di cosa nostra di Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, ha ricevuto un nuovo provvedimento di custodia cautelare in carcere. Ghianda, infatti, è stato condannato dalla Corte d’Assise di Caltanissetta a diciotto anni di reclusione. Associazione mafiosa, duplice omicidio e porto e detenzione illegale di armi da fuoco, queste le accuse contestate all’imputato e confermate dalla sentenza emessa ieri dai giudici nisseni.
Il provvedimento è stato notificato all’uomo direttamente dagli uomini della squadra mobile di Caltanissetta: Ghianda, infatti, è, al momento, recluso all’interno del penitenziario del capoluogo di provincia. Il condannato, ex operaio forestale, venne tratto in arresto già nel novembre del 2006: gli investigatori lo ritennero il sostituto del boss Salvatore Siciliano, reggente di cosa nostra a Mazzarino arrestato nel 2002. Sarebbe stato Ghianda, infatti, ad impedire l’ascesa a Mazzarino dei rivali della stidda condotta dalla famiglia Sanfilippo.
Di recente, l’uomo è stato coinvolto nel blitz “Crimen Silenti” che ha permesso agli inquirenti nisseni di ricostruire un caso di lupara bianca. L’omicidio riportato alla luce dalle nebbie del passato è quello di Giuseppe Mililli di Aidone, in provincia di Enna, ucciso e sciolto all’interno di un fusto contenente benzina nel 1998.
I fatti si svolsero nelle campagne di Niscemi: Mililli, stando alle indagini, sarebbe stato vittima di un contrasto interno a cosa nostra ennese. Appalti e gestione delle forniture avrebbero indotto alcuni componenti della famiglia di Enna a rivolgersi agli uomini di Mazzarino e Gela per eseguire l’omicidio.



