Nel contempo, il nostro paese, aduso ad «esportare» anche il crimine organizzato, si trova da tempo nell’inedita situazione di dover ospitare nuove mafie d’importazione (russa, albanese, cinese, nigeriana, ecc.), che in questi ultimi anni si sono insediate nel territorio e che talora interagiscono con le più tradizionali organizzazioni mafiose nazionali.
Potrà quindi consolidarsi la tendenza a parlare di Cosa Nostra come «mafia sommersa o invisibile». Con questo termine non si vuole alludere a una mafia ormai inoffensiva o, addirittura, definitivamente sconfitta. Tutt’altro. La mafia non è certamente dotata della stessa terribile “pulsione” ed efficienza militare dei primi anni Novanta, quella tragicamente manifestatasi con le stragi del ’92 e del ’93. Essa, però, nonostante i duri colpi subiti negli anni successivi a quelle stragi, non è oggi «sommersa o invisibile» perché sconfitta: la sua «sommersione o invisibilità» è il frutto di una strategia ben precisa, oculata e insidiosa.
La mafia, infatti, dopo avere attuato ed esibito con le stragi una violenta e spietata strategia d’attacco frontale, ha dovuto subire un’efficace reazione dello Stato (latitanti arrestati come mai in precedenza, per numero e caratura criminale, tra cui gli autori materiali di quelle stragi; beni mafiosi sequestrati per decine di miliardi; veri e propri arsenali di armi requisiti). E ha subìto anche la stagione dei processi, processi che per i suoi affiliati si sono conclusi con pesantissime condanne, mentre gli onori delle cronache venivano praticamente riservati ad alcuni imputati «eccellenti», spesso i soli assolti, sia pure per insufficienza di prove, o “graziati” dalla prescrizione.
Ed ecco che la mafia, duramente colpita, sceglie di attuare una sorta di «strategia della tregua» finalizzata, fra l’altro, a far dimenticare la sua tremenda pericolosità. Niente più stragi, niente più omicidi eclatanti; regna lo spirito di mediazione anziché la logica dello scontro aperto.
Questa nuova stagione, che arriva fino ad oggi e credo continuerà, ha avuto come interprete principale Bernardo Provenzano, cui Matteo Messina Denaro si è accodato. Si tratta di adottare la tecnica del «cono d’ombra», con l’obiettivo, appunto, di rendere invisibile l’organizzazione, di inabissarla.
In questo modo Cosa Nostra ha cercato (riuscendovi) di dissimulare il suo volto più feroce, per recuperare e sviluppare spazi di intervento e per rafforzare i meccanismi di accumulazione di capitale illecito. Con una peculiarità che complica le cose perché, secondo tradizione, essa tende anche a proporsi come soggetto politico-sociale capace di controllare l’economia e di esercitare una funzione di (apparente) sviluppo, anche sostituendo o integrando le competenze pubbliche.
La strategia con la quale la mafia ha affrontato il dopo stragi 1992/93 è stata quindi meno sanguinaria, ma più insidiosa, perché favorisce l’affievolirsi dell’attenzione sulla questione mafia in conseguenza del calo «statistico» dei fatti di sangue conosciuti.
Ma è proprio nei periodi di pax mafiosa che Cosa Nostra dimostra maggiore forza, capacità di infiltrarsi nel tessuto economico-sociale e di intrecciare nuove relazioni anche sul versante dell’intermediazione con luoghi decisionali della cosa pubblica.
E la storia, ripeto, è probabile che continui tal quale anche dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, l’ultimo protagonista attivo della stagione delle stragi.
Fonte: Micromega