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Il linguaggio sprezzante usato da Trump nell’aula più solenne del mondo è uno sfregio al diritto internazionale e al rispetto delle scelte altrui ma anche all’umanità.

Non si è trattato soltanto di piegare la verità alle proprie visioni e ai propri interessi, cose alle quali siamo purtroppo tristemente abituati.

È stato un delirio che non riconosce la sacralità della vita umana o la sua dignità.

Gettare fango sulla conversione ecologica che è vitale per il genere umano e per le generazioni future, invitare alle deportazioni di persone immigrate, attaccare spudoratamente il diritto internazionale che resta l’unico tentativo onesto partorito dalla politica per cercare la pace… somiglia più a un delirio che ricorda l’imperatore romano Caligola che un discorso da capo di stato.

Ma a preoccupare, più che le sue parole, sono gli applausi che lo hanno accompagnato. Sono attori politici del mondo che – come dice Joffrey Sachs – baciano compiacenti l’anello di Washington. Più che le sue parole preoccupa la corsa all’emulazione che è causa dell’aumento di morte e sofferenze nel mondo da Gaza al Nord Kivu.

A proposito, quello tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda sarebbe uno dei sette conflitti che Trump si è vantato d’aver risolto. Abbia il coraggio di fare una visita senza scorta nelle regioni in cui ha portato la pace e poi torni al Palazzo di vetro a relazionare facendo parlare la coscienza e non l’arroganza.

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