A quanti eravamo rimasti? Ai quattro amici al bar? Ecco, qui siamo sei. Ma non coetanei, anzi. E nemmeno disponibili a tornare a casa a farci gli affari nostri, di nuovo anzi.
Il fatto è che a un certo punto del nostro ragionare e discutere intorno a un tavolino ci siamo interrogati.
I sei siamo, in ordine rigorosamente alfabetico: Thomas Aureliani, assegnista ricercatore di prim’ordine, ormai dieci anni di vita dedicati a studiare e fiancheggiare il movimento dei familiari dei desaparecidos in Messico. Aveva promesso a una di quelle madri di abbracciare la loro causa per sempre e sta mantenendo con passione l’impegno, facendo base all’università di Milano, dove lavora.
Giada Calenda, neo laureata triennale. Familiare per “discendenza” sul versante italiano del dramma, tesi di laurea (sempre università di Milano) sui familiari di vittime di mafia in Lombardia. Ha chiesto di far parte anche lei del gruppo come volontaria venendo in Messico a sue spese.
Annaclara De Tuglie, dottoranda, sempre università di Milano, sta facendo la sua tesi sul reclutamento dei minori da parte dei narcos messicani e, sulla scia di Thomas, intende dedicarcisi anche dopo.
Poi, salendo di età, Claudio La Camera, impegni importanti per decenni e in tutto il mondo, volontariato e molto Nazioni Unite, cattedra Falcone-Borsellino all’Istituto messicano di giustizia.
Quindi Ottavio Sferlazza, già magistrato in prima linea, dalle indagini agrigentine sull’assassinio del giudice Rosario fino alla guida della procura di Palmi.
E infine il titolare di questa rubrica, di cui già conoscete la presenza fissa sul “Fatto” del lunedì.
Immaginateli ora, con biografie, età e provenienze così diverse, riuniti a far bilanci e immaginare prospettive a uno stesso tavolino sul Pacifico, in uno scenario che tutto evoca fuorché fatiche fisiche e “sudate carte”. Intenti a chiedersi perché sian qui senza essere pagati da nessuno a cercare di fare qualcosa di buono per paesi lontani. In cui quasi nessuno sa che ci sono, e molti gradirebbero la loro assenza. I dialoghi volano e catturarli bene non è semplice.
“Questo paese (si parla del Messico) è irredimibile. Lo penso ogni volta che ci vengo. È la società che è così, non ne vogliono una diversa. Sono loro che vanno a votare. Certe volte non so nemmeno perché ci vengo, forse solo perché le nostre bandiere hanno gli stessi colori”. Risata triste.
“Non esagerare, anche di Palermo dicevano che era irredimibile. Te lo ricordi Sciascia?”. “E infatti…”. “E infatti un piffero, o vogliamo ricordare com’era Palermo quarant’anni fa?” “Qua per esempio, sapete che cosa rimarrà di quello che abbiamo detto ai giovani poliziotti? Ve lo dico io, purtroppo. Credo che dopo un po’ molti si metteranno a fare le estorsioni per conto loro, con gli stipendi di fame che hanno”. “Non sono d’accordo. Ma avete visto come si illuminavano quando si parlava del loro lavoro partendo dal senso dello Stato?”.
“Ma il problema è un altro: noi a cosa serviamo qua in mezzo, in questa catastrofe umanitaria?”. “Il fatto è che i volontari servono a rendere una società meno feroce, risolvono problemi. O no? Prendete da noi: la sanità, le carceri, i minori, la violenza nei quartieri, l’analfabetismo degli immigrati…”. “Già, a una società cattiva i buoni servono. Ma a volte oltre a essere cattiva è cretina, perciò li criminalizza”.
Amarezze, inquietudini. E una consapevolezza. “Chissà quante migliaia e migliaia di volontari si stanno facendo queste stesse domande in Italia”. Già. E chissà quante migliaia e migliaia stanno dando la stessa risposta. Continuando a fare esattamente quello che fanno. Non per avere premi, e neppure per capovolgere il mondo.
I sei si salutano dopo i giorni passati insieme. C’è chi torna in Italia, chi va in altre regioni del Messico, chi in Guatemala, chi in Perù. Eravamo sei amici al bar. Che ancora pensano che ne valga la pena.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 20/10/2025
https://liberatestardi.websitefortest.uk/2025/10/15/citta-del-messico-tra-narco-e-speranza-nel-paese-che-non-conosce-gli-eroi-di-stato/



