In Antimafia la maggioranza fa le prove per la “tirannide”

Scarpinato senato

La vera democrazia garantisce spazi anche alle minoranze. Se questi spazi non sono effettivi, l’alternanza (quintessenza, Dna della democrazia) si riduce a simulacro e la democrazia cambia qualità. E, come già insegnava due secoli fa Alexis de Tocqueville, può sempre essere in agguato la “tirannide della maggioranza”.

Ciò vale sia per l’architettura costituzionale nel suo complesso sia per le singole parti o particelle che la compongono. La Commissione antimafia è una di queste particelle. La domanda che si pone è se la Presidente Chiara Colosimo la diriga tenendo conto di quanto ora premesso.

L’attuale Antimafia si propone di accertare se è stata accelerata l’esecuzione della strage di via d’Amelio per impedire a Borsellino di occuparsi di mafia e appalti. Tesi innescata dall’avv. Trizzino, legale di una parte della famiglia Borsellino, e sostenuta da Mario  Mori e Giuseppe De Donno, già ufficiali del ROS.

Alla Presidente Colosimo si addebita di aver fatta propria tale tesi, assumendola aprioristicamente come unica possibile, senza  degnare di una qualche considerazione nessun’altra ipotesi alternativa o concorrente. In altre parole la Colosimo non ricercherebbe la verità, bensì la conferma – a ogni costo – della tesi Trizzino-Mori-De Donno.

Dissentendo da questa impostazione, il senatore Roberto Scarpinato (già stimato magistrato) il 4 settembre 2023 ha consegnato alla Presidente Colosimo un’articolata memoria di 57 pagine con varie richieste istruttorie.

Risultato? Silenzio tombale sulla  memoria, considerata “tamquam non esset”. Dunque un comportamento che non garantisce  affatto la minoranza, perché la maggioranza si piglia tutto e lo gestisce nel suo esclusivo ìnteresse.

L’ombra della “tirannide della maggioranza” si staglia cupa. E cresce, perché la Colosimo ha proposto di modificare la legge istitutiva della Commissione, escludendo dai lavori e dalla consultazione dei documenti i membri in presunto conflitto di interesse. È una norma “contra personam”, perché tutti capiscono che  è  confezionata su misura per Scarpinato.

Ma non è finita.

Il 13 maggio viene depositata all’Antimafia (e illustrata in una conferenza stampa) una nuova memoria di quasi 100 pagine, predisposta ancora da Scarpinato per il Gruppo 5Stelle, nella quale si contestano in vari punti le dichiarazioni e/o induzioni di  Mori e De Donno rese in sede di audizione da parte dell’Antimafia.

Risultato? La Commissione affari costituzionali del Senato immediatamente “calendarizza” la proposta di modifica di cui sopra. Di nuovo la maggioranza che vuol prendere tutto e alla minoranza non lascia spazi. Di nuovo il pericolo di “tirannide della  maggioranza”.

Lo scopo perseguito sembra quello di scrollarsi di dosso (nei casi che stanno a cuore al Centrodestra) il fastidio di un contendente  informato e pericoloso, perciò “catalogato” come nemico. Un’idea singolare di democrazia. Anzi, un metodo che apre scenari inquietanti, fino a quello (provocatoriamente evocato da Saverio Lodato) dell’aula sorda e grigia di  infausta memoria.

Va infine ricordato che il “grande accusatore” Mori ha dichiarato in varie interviste di voler vivere a lungo per vedere morti i suoi nemici. Se non è una “fatwa”, la frase rivela un risentimento rancoroso e vendicativo: non il miglior viatico per l’affidabilità di un’accusa.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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