
Giornalismi&Mafie – Alla ricerca dell’informazione perduta
a cura di Roberto Morrione
I taccuini del Premio Ilaria Alpi / Libera Informazione
EGA editrice – 14 euro
Insolito, curioso, utile. Un libro che attira l’attenzione già dal titolo: il filo conduttore di quella che è un’opera collettiva (14 autori) fatta di saggi, interviste (sette cronisti in prima linea) e interventi, lucide analisi e memoria dell’antimafia. Perché se parlare di mafie è ormai doveroso, grazie alla decennale attività di Libera, non è scontato affrontare la questione informazione con il plurale. Parlare di giornalismi è già una critica al presente e un manifesto programmatico per il futuro.
È il senso del viaggio alla ricerca dell’informazione perduta di Roberto Morrione. Un’avventura nata per caso e vissuta d’un fiato, girando l’Italia con Libera Informazione, la Fondazione e l’Osservatorio giornalistico che Morrione dirige, mettendo al servizio dell’antimafia sociale l’esperienza professionale maturata in anni di trincea ai vertici della Rai. Giornalismi&Mafie è un tassello del mosaico in costruzione, un libro che rientra – nel pieno rispetto dell’imperativo del fare rete – tra “I taccuini del Premio Ilaria Alpi”. Un altro indizio: il fare inchiesta per la verità, come ci ha insegnato Ilaria, non è un dovere del giornalista, ma è o dovrebbe essere una caratteristica fondante dei cronisti.
Fatta l’abitudine ai caratteri vetero (tra la linotype, la lettera 22 e l’ms dos), la sostanza dei contenuti scorre lasciando segni profondi, e riflessioni destinate a durare a lungo.
LA LINEA CIOTTI
L’informazione o è libera o non è, ha sintetizzato con la sua proverbiale maestria oratoria Luigi Ciotti. Il racconto della nascita di Narcomafie quindici anni fa, i primi passi del nascente movimento, la voglia di spezzare pregiudizi e visioni ristrette: le mafie sono ovunque, bisogna dare conto delle zone grigie, bisogna uscire dalla logica dell’emergenza e ridare voce ai simboli dell’antimafia, a partire dalle vittime. E tra i giornalisti ce ne sono tante: undici eroi normali, uccisi perché intransigenti e irriducibilmente normali (in coda al libro una scheda dettagliata sui cronisti caduti). Tanto è stato fatto, l’antimafia sociale si è imposta, la cronaca in positivo – a partire dai simbolici insediamenti nei beni confiscati alle cosche – è ormai un filone in espansione. Resta quell’imperativo categorico: ognuno faccia la propria parte. Anche i giornalisti. E c’è pure un come: non paga il sensazionalismo e l’astrazione, non pagano le fiction che parlano di mafia e antimafia come di cose lontane dalla realtà. La strada è quella culturale, la cultura e la pratica della responsabilità. In due concetti Ciotti disegna la nuova sfida di Libera: vanno archiviati i termini legalità e società civile, da riempire con la forza dei progetti (e la bussola della giustizia sociale) verso i nuovi mondi dell’educazione alla responsabilità e della società responsabile. Ognuno faccia la propria parte, appunto.
CASELLI E LA ZONA GRIGIA
Non si pensi ad un libro che sorvola la questione politica: ci pensa Giancarlo Caselli, nella sua introduzione, a ricordare ai lettori il grado di commistione tra mafie, massonerie e politica, i livelli occulti e deviati dello Stato, quelli neanche tanto occulti e ormai strutturali. Caselli si lancia anche in un terreno minato: conflitto d’interessi, anomalia dell’editoria italiana, precariato giornalistico. Ma anche disinformazione ad orologeria. E ancora l’alto livello professionale della magistratura italiana e l’altrettanto profonda impotenza sul fronte di quelle che il procuratore chiama relazioni esterne, la zona grigia dove si incontra la borghesia mafiosa e l’intellighenzia imprenditoriale e politica. Ultimo amaro appunto: nessuno si senta escluso dalla complicità della rassegnazione di fronte a uno stalliere mafioso vestito da eroe.
I DUBBI DI LODATO
Tocca a Saverio Lodato, cronista della vecchia scuola, l’onere della lucidità e del pessimismo. La mafia non è affatto sconosciuta, anzi fonda il proprio potere sulla forza simbolica del fuorilegge impunito. Non è l’unica spiegazione, ma non va sottovalutata. Così come vanno fatti i conti con la logica razionale: perché i mafiosi, che di mestieri hanno imparato solo quello, dovrebbero andare in pensione se Cuffaro ha governato la Sicilia per sette anni, sotto accusa di mafiosità? E i giornalisti? Allineati al potere. Ecco perché, secondo Lodato, cosa nostra è sopravvissuta alla propria sconfitta. Al lettore gli inquietante dubbi: chi ha combattuto cosa, in che modo e per quale motivo.
IL VIAGGIO DI MORRIONE
Da Casal di Principe a Lamezia, da Palermo a Catania e poi ancora tra le altre Gela, Bari, Potenza. Il viaggio nelle regioni occupate, le campagne con Articolo21, i racconti dei cronisti di provincia, in prima linea, coraggiosi e spesso soli. Così Morrione restituisce uno spaccato del giornalismo italiano. Sullo sfondo la grande questione irrisolta: i conflitti di interessi. Anche qui il plurale: non solo il nodo Mediaset, ma i tanti editori-padroni che ammorbano il giornalismo nostrano. Un caso emblematico, prima battaglia di Libera Informazione, l’anomalia catanese: Repubblica non distribuisce l’edizione palermitana per via di un accordo con l’editore-stampatore Ciancio. Due antidoti: il risveglio dell’addormentata Rai (tanti cronisti di razza, secondo Morrione, sarebbero ben lieti di tornare in strada), la valorizzazione della risposta povera, quella della rete. Un viaggio che continuerà nel Nord delle colonie e delle mafie endogene (come quella laziale, ormai una Quinta mafia).
IL CASO ALPI, LA STORIA INFINITA
Tocca il cuore la vicenda Alpi. A 14 anni di distanza i genitori della giornalista del Tg3 uccisa in Somalia devono ancora combattere contro una verità giudiziaria che non tiene conto della verità vera: Ilaria è stata ammazzata, con ogni evidenza, perché ha messo il naso in un giro internazionale di smaltimento di rifiuti tossici. Un giro con protagonisti le amministrazioni statali di mezzo mondo e i faccendieri più sporchi del pianeta. Una verità talmente vera che l’obiettivo di Giorgio Alpi e Luciana Riccardi è ormai quello di smascherare depistatori, assolutori, affaristi e quant’altro. Alla ricerca di dignità più che di giustizia, un concetto che in Italia – a leggere la ricostruzione delle vicende processuali del caso Alpi, riassunte con il contributo di Mariangela Gritta Granier – non ha cittadinanza.
I SETTE CRONISTI NORMALI
Poi l’essenza dell’opera: le interviste a sette giornalisti in prima linea, sotto il tiro delle mafie o più semplicemente nel tritacarne dei poteri forti. Un parallelo che Giornalismi&Mafie ha il merito di rendere evidente. Come è evidente, dalla residenza dei sette cronisti, che la questione mafiosa non è una questione meridionale, ma un caso nazionale. Non un morbo, ma una deriva strutturale del Paese, declinata in modi diversi al Nord e al Sud, ma con un filo conduttore: le protezioni romane al sistema criminale-massonico-politico-istituzionale. Lo dice a chiare lettere Lirio Abbate, palermitano dell’Ansa da tempo assediato da cosa nostra: non si può pretendere che siano i cronisti locali e ancor meno gli inviati lampo a raccontare delle alleanze occulte (spesso neanche tanto) nella zona grigia, occorre partire dal livello romano e soprattutto occorre che “questa sporca storia” vada “raccontata senza prenderci in giro”. Dal pessimismo della ragione all’ottimismo della volontà: raccontare, puntare il dito, sparare al Tg è un modo per colpire le mafie, salvo poi subirne le conseguenze. Tocca ad Antonella Mascali ribadire che le mafie sono radicate anche in Lombardia. Da siciliana emigrata, la giornalista rileva l’inefficacia dei media settentrionali, latitanti e sempre a caccia del sangue. Costanza, interpretazione e ricostruzione sono gli elementi da tenere fermi, in pratica il giornalismo antimafia è il giornalismo tout court. Militante, fiducioso e pro cronaca positiva, Ma
rco Nebiolo di Narcomafie si muove a Torino come si muoverebbe in Sicilia. Vittorio Bruno Stramerra ci racconta della Puglia, della inefficacia del giornalismo di cronaca, che assegna ai criminali la patente di mafiosità e li legittima agli occhi delle future vittime. Dall’inchiesta come antidoto all’analisi del fallimento della Sacra corona unita, la quarta mafia, debole perché incapace di radicarsi. Uno spunto di riflessione da non sottovalutare. Enzo Palmesano narra della solitudine del giornalista, di un giornalismo d’attacco da elevare a unica modalità del mestiere in quelle terre campane rassegnate alla camorra. Monica Zornetta dal Veneto è un’altra conferma dell’espansione sistematica delle mafie, anche in questo caso da combattere con le armi della deontologia professionale e della migliore tradizione giornalistica, lontana dalle tre (o cinque ) S. Ultima parola al calabrese Mario Meliadò, un esempio di come il sistema sia capace di eliminare un giornalista “normale” dalla prima linea. Per danneggiare la ‘ndrangheta basta fare due più due: accostare le cosche ai politici, gli affari ai referenti politici, manovre e scandali e tendenze. Basta volere parlare di politici border-line, di ‘ndranghetisti e di massoni piuttosto che di fantomatica Politica-Massoneria-‘Ndrangheta. L’inchiesta, ma soprattutto la capacità di interpretazione. Basta capire e volere raccontare. Ma se lo si fa il sistema (quello degli editori con interessi economici, legati ai politici locali e nazionali, a loro volta a contatto volenti o nolenti coi grembiuli e lupare) ti esclude dal giro che conta, ti relega alla cronaca che non fa male, ti affama con contratti atipici (ecco che la battaglia per l’Informazione antimafia è anche una battaglia per i diritti). Mentre il resto del paese preferisce dialogare con il sistema, in Calabria come altrove.
CHIARA SPAGNOLO
E LE MINACCE LEGALI
Anche la storia di Chiara Spagnolo restituisce il quadro di un Paese complice. Cronista di giudiziaria nella Catanzaro di De Magistris, la Spagnolo è stata umiliata e offesa per aver raccontato dei politici corrotti, degli affari, delle toghe deviate. L’ha raccontato non da sola, ma ha pagato in solitudine. Anche in questo caso con il gossip (è accreditata come amante del pm De Magistris) e con la morte civile (chi vuol parlare con una giornalista intercettata, sotto il tiro delle istituzioni?). Stretta nell’angolo, la Spagnolo ha fatto l’unica cosa che le restava da fare: abbandonare la trincea e diventare cittadina in cerca della verità e della giustizia nelle aule dei tribunali. Una sconfitta di cui siamo tutti complici. Un piccolo merito di Libera Informazione: la storia della Spagnolo, con le perquisizioni del Ros ordinate dalla procura di Catanzaro, è finita sul sito dell’osservatorio in tempi non sospetti, esempio degli avvertimenti legali ai giornalisti. Anche su questo fronte in linea con l’esigenza di depurare l’informazione dal sensazionalismo delle minacce eclatanti.
NATALE E LA SCORTA MEDIATICA
Inorridito di fronte alla cronaca nera-rosa, Roberto Natale si insedia al vertice del sindacato dei giornalisti con delle priorità: diritti per affrancare i giornalisti, regole per sciogliere i conflitti d’interessi (attenzione all’ennesimo plurale), una scorta mediatica per tutti i cronisti che finiscono nella lista nera delle mafie.
GLI 11 CRONISTI CADUTI,
LA NAZIONALE DELLA VERITA’
In chiusura le storie dei giornalisti caduti per mano mafiosa, i giornalisti che non moriranno mai, undici come una squadra di calcio, la nazionale della verità: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Giuseppe Alfano, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.



