La giustizia italiana dopo il pacchetto (in)sicurezza

Luigi Ciotti

Fotografie di un sistema in crisi e
prospettive inqiuetanti. È quanto emerge dall’analisi del Procuratore
Capo di Torino, Gian Carlo Caselli, intervenuto nella tre giorni formativa
organizzata da Libera a Savignano sul Panaro.

Non basta, infatti, limitarsi a prendere
atto dello stato in cui versa il nostro sistema giuridico tanto sotto
il profilo culturale, con la magistratura divenuta oggetto degli ormai
quotidiani attacchi del Premier, quanto sotto quello della funzionalità,
che vede il nostro Paese puntualmente sconfitto nel confronto con gli
altri stati dell’Unione Europea sul terreno della durata media dei
processi e del numero dei ricorsi presentati. A uno scenario già tutt’altro
che confortante si devono aggiungere le conseguenze prodotte dall’approvazione
del disegno di legge sulla sicurezza, votata dal Parlamento lo scorso
2 luglio. Pur non intervenedo in modo diretto sulla struttura dell’ordinamento
giudiziario – sebbene sia unanime il riconoscimento della necessità
di una riforma in tal senso – il testo legislativo incide profondamente
sul lavoro dei magistrati. «Alla mancanza di un progetto organico di
riforma della giustizia – ha detto Caselli – si sostituisce una
legge pensata per mantenere l’attuale stato di inefficienza efficiente
che caratterizza il nostro sistema giudiziario.» Laddove sarebbe auspicabile
uno stanziamento di risorse che permetta di reintegrare un organico
di cancellieri e segretari sempre più esiguo e dunque incapace di garantire
il regolare svolgimento dei processi, il governo procede a una serie
di riforme che non riguardano la giustizia bensì i giudici e che minacciano
seriamente l’indipendenza della magistratura. Dalla trasformazione
dei pubblici ministeri in semplici avvocati dell’accusa, fino al giro
di vite con cui si è messo fine alla possibilità di servirsi della
intercettazioni in sede d’indagine, se non in presenza di evidenti
indizi di colpevolezza (tutt’altra cosa rispetto ai gravi indizi di
reato della precedente normativa), ecco che il lavoro dei magistrati
viene a collocarsi in uno spazio sempre più angusto, ma funzionale
– secondo l’argomentazione dell’ex Procuratore Nazionale Antimafia
– a perpetuare quell’anomalia che vede il sistema italiano fondarsi
su due diversi concetti di giustizia: l’uno riservato a quanti vengano
considerati “galantuomini a prescindere”, l’altro destinato ai
comuni cittadini.

Ora, a rendere ancora più inquietante
simile un stato di cose è l’introduzione di un terzo ordine
di giustizia, appositamente creato per colpire i diversi. Il disegno
di legge sulla sicurezza, infatti, presenta una normativa in materia
di immigrazione che recepisce sì il portato di dieci anni di proibizionismo
amministrativo, ma per la prima volta si serve dello strumento del diritto
penale per colpire il migrante in quanto tale. «L’intreccio di processo
penale e procedimento di espulsione per via amministrativa mediante
una sorta di processo per direttissima di fronte a un giudice di pace
implica una modifica delle procedure processuali, peraltro di difficile
applicazione – ha ammesso Caselli – in quanto non tiene conto dell’inadeguatezza
‘ontologica’ dello strumento penale in materia d’immigrazione:
se vediamo quest’ultima come un fiume in piena, ecco che il reato
di clandestinità si trasforma nella pretesa di colpire l’intero flusso
anziché i singoli detriti che necessariamente una piena porta con sé.»
Tolleranza zero, si dice. Sì, ma solo per i destinatari del secondo
e del terzo fra i concetti di giustizia delineati da Caselli: negando
il ricorso alle intercettazioni non si opera in direzione di una maggiore
sicurezza, bensì nel suo opposto. Una contraddizione che si spiega
solo inserendola nel più ampio quadro di un sistema giuridico anomalo,
ispirato a quel che Caselli chiama ‘garantismo selettivo’, per cui
sicurezza è sinonimo di repressione e l’importante è non ledere
le garanzie d’impunità dei ‘galantuomini a prescindere’.

Giustizia, informazione, sicurezza,
rispetto dei diritti umani: è qui che si gioca la qualità di
una democrazia. Una battaglia – ha concluso Caselli – che Libera
ha da tempo ingaggiato. E che può essere vinta.