La nonviolenza: un percorso contro l’indifferenza per avere il coraggio della speranza

Nonviolenza

Che cos’è la violenza? Questa è la domanda che mi sono sentito rivolgere all’interno del “festival della nonviolenza poietica“, caratterizzato da discussioni sul tema della “pace disarmata e disarmante”,  svoltosi  a Comiso dal 2 al 6 luglio.

La risposta mi ha impegnato non poco a livello di pensiero, in quanto veniva posta da una addetta ai lavori che ovviamente cercava una risposta più articolata e forse inedita.

Nel risponderle ho preso spunto dai tre livelli richiamati nel bellissimo volumetto di Pax Christi International “La nonviolenza di Gesù. Operare la pace secondo i vangeli”:

1) coinvolgersi nelle vicende umane e sociali;

2) scuotere le coscienze, denunciare e resistere alle ingiustizie;

3) essere dalla parte degli ultimi.

E ho provato a leggerle al contrario per arrivare ad una indicazione di cos’è la violenza per me.

Se non ci si coinvolge nelle vicende umane, ossia se si è indifferenti al mondo, a ciò che ci circonda, come il territorio, l’ambiente, la comunità, allora si pratica comunque una forma di violenza, e mi vengono in mente le parole di Martin Luther King, il quale affermava che “La più grande tragedia di questi tempi non è il clamore chiassoso dei cattivi, ma il silenzio spaventoso delle persone oneste”; questo potremmo definirlo come il grande male della nostra società, denunciato più volte da Papa Francesco, ovvero l’indifferenza o la globalizzazione dell’indifferenza.

Se non si ha a cuore la giustizia ovvero il rispetto profondo della dignità umana si è violenti; questo significa che se dinanzi alle ingiustizie ci voltiamo dall’altra parte, tanto non ci tocca, noi siamo violenti, e qui mi giunge in aiuto il celebre sermone di Bertold Brecht che si conclude con l’amara affermazioneUn giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

Se non si sta concretamente dalla parte degli ultimi, si è violenti perché si consente che l’ingiustizia si perpetui e colpisca persone fisiche, sconosciute o magari conoscibili. Nel mio servizio quotidiano all’interno di una realtà comunitaria mi occupo di senza dimora, soggetti dipendenti e/o ammessi alle misure alternative al carcere. Ci metto il corpo e rischio la vita, come coloro che prestano servizio insieme a me.  Ma è in questo modo che prende corpo un’attività di nonviolenza reale, quotidiana che vive nel e del volto dell’altro. Quest’aspetto possiamo definirlo: sporcarsi le mani.

Questi tre aspetti della violenza potrebbero essere considerati frutto dell’atteggiamento omissivo, staccato dalla realtà, derivanti da atteggiamenti di semplice tifoseria, che però rivelano la pigrizia, l’accidia che pervade la nostra società. D’altro canto anche nelle realtà sociali o nei movimenti potrebbe accadere che non siano compresenti tutte e tre le inclinazioni nonviolente antiomissive.

Alle mie risposte l’interlocutrice del festival di Comiso non rispose nulla, ma non sono convinto che condividesse.

Aggiungo anche che mi sembra come in diverse realtà sociali non ci sia una chiara consapevolezza di cosa significhi non essere indifferenti, non voltarsi dall’altra parte e sporcarsi le mani.

La nonviolenza, in tutti i suoi aspetti pratici ha un costo, un prezzo da pagare, che credo non tutti siamo disponibili a mettere in conto.

Ed è su questo aspetto che credo occorrerebbe lavorare di più all’interno anche del nostro movimento adottando forme di obiezione civile che siano assunte e non respinte perché hanno un costo che non siamo disposti a pagare. Nel caso ci trovassimo in questa situazione, significa che la prima domanda da porci è: voglio attuare la nonviolenza?

Concludo con un impegno per tutti e tutte noi: avere il coraggio della speranza per il nostro ambiente sociale di vita, ma anche personale. Ognuno di noi dovrebbe fare una scelta personale di cambiamento che consiste nel diventare ogni giorno meno violento. Essere disposto al cambiamento mentale e concreto nelle relazioni.

E per comprendere quanto questo avere il coraggio della speranza sia un percorso dell’umanità attraverso la storia nel corso della storia, mi faccio aiutare da Anna Frank: “È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché, continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione.
Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”.

* Coordinatore nazionale Pax Christi