La riforma, i pm e Nordio “marchese del Grillo”

Nordio meloni

Ci risiamo. Sempre lo stesso copione, da Berlusconi a Meloni.

Il magistrato che dà più fastidio al potere politico è quello “troppo” indipendente, cioè quello che si dimostra indipendente anche quando la legge e la sorte gli assegnano il compito di doversi occupare di  problemi che stanno particolarmente a cuore a chi governa, senza assecondarne le direttive.

È quanto accade oggi per l’immigrazione, un tema sul quale  la premier è sempre in campagna elettorale, per cui attacca a testa bassa (con elmetto) chiunque osi dissentire. E contro i magistrati scatta – come un riflesso pavloviano – l’accusa di essere politicizzati e di anteporre ragioni ideologiche alla volontà popolare .

È successo a Rimini al meeting di Comunione e Liberazione, dove Meloni – nel tripudio di una platea adorante – ha detto di voler riformare la giustizia per renderla più efficiente per i cittadini. Ma come?

Con  la separazione delle carriere, che in tutti i paesi in cui esiste comporta in modo o nell’altro la sottomissione dei Pm alle direttive del potere esecutivo, con l’inesorabile conseguenza della fine dell’indipendenza della magistratura: che non è un privilegio della corporazione dei giudici, ma un patrimonio dei cittadini, che soltanto con un indipendente esercizio della giurisdizione possono sperare che la legge sia applicata in maniera uguale per tutti.

Siamo in una situazione simile a quella che portò Francesco Saverio Borrelli, capo della Procura di Milano ai tempi di Tangentopoli, allo storico “resistere resistere resistere, come sulla linea del Piave”.

Solo che oggi di  Borrelli non ce n’è più. E tocca accontentarsi, sul versante opposto, dei Nordio in modalità Marchese del Grillo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano