L’Agenda Rossa? Non aprite quella porta

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Siamo stupiti, ma anche molto infastiditi, per il silenzio che avvolge l’esistenza della Agenda Rossa di Paolo Borsellino. Un silenzio – vogliamo anticiparlo subito- calcolato, studiato a tavolino, e per ciò stesso inaccettabile e scandaloso.

Naturalmente non ci riferiamo a quella che Salvatore ha voluto e pubblicato nei giorni del recente 19 luglio, ricapitolando la straziante summa delle stragi che in Italia vanno avanti dal 1947. E che reca il numero identificativo 33, che più evocativo non potrebbe essere, chè tanti di anni ne sono trascorsi dal bagno di sangue di via D’Amelio.

Salvatore Borsellino, curando questa antologia, ha voluto sottolineare una cosa che dovrebbe essere acquisita come l’uovo di Colombo: che “l’Italia non è il Paese di una strage sola”. Ma per ribadire questo concetto, questa verità solare, quest’abc della storia nazionale, bisogna lottare con le unghie e con i denti, come fanno Salvatore Borsellino e tutti i ragazzi del suo movimento delle Agende Rosse.

Noi qui, oggi, ci occuperemo invece dell’Agenda Rossa, quella che è talmente vera da essere diventata la Carta innominabile di tutti i grandi misteri italiani degli ultimi decenni.

Talmente vera che non si trova.

Talmente vera che non la si vuole cercare per non correre il rischio di trovarla. Talmente vera che ormai si preferisce non nominarla nemmeno, per non dare soddisfazione a tutti coloro i quali, e non sono pochi, ritengono che la pista di mafia e appalti, a spiegazione di quanto accadde in via d’Amelio, è un gran bidone sapientemente partorito nei laboratori di un’intelligence un po’ vecchietta e un po’ underdog.

Veniamo al punto.

I comuni mortali, quando Paolo Borsellino era vivo e svolgeva il suo lavoro di magistrato, non conoscevano l’esistenza di quell’agenda, né soprattutto l’abitudine, che il magistrato aveva preso negli ultimi 57 giorni che gli restavano dopo la morte di Giovanni Falcone, di prendere nota di tutto ciò che a suo giudizio meritava di essere messo nero su bianco.

Saranno i figli e Agnese la moglie di Paolo Borsellino, a massacro avvenuto, ad alzare la voce. Perfino l’ex padre del pool, il Giudice Istruttore Antonino Caponnetto, in un’intervista al compianto Andrea Purgatori sul Corriere della Sera, ne aveva indicato esistenza e importanza.

All’unisono, senza incertezze, i figli ripeteranno che, se trovata, quell’agenda avrebbe rappresentato la mappa indispensabile per scoprire i fondali più profondi della ragione autentica di quella strage.

Al punto che Lucia, una delle figlie, recandosi in Questura, a Palermo, a recuperare gli effetti personali del padre ritrovati sul luogo della strage si lamentò con il questore Arnaldo La Barbera proprio per l’assenza dell’agenda. C’era tutto, ma l’agenda no. Il che provocò la reazione a muso duro del funzionario di polizia che l’apostrofò a male parole insinuando che fosse uscita di senno.

E oggi?

A parlare di Agenda Rossa è rimasto soltanto Salvatore Borsellino.

L’Agenda Rossa è diventata innominabile tabù per la maggioranza della commissione parlamentare Antimafia. La commissione lavora, lavora, ma dall’agenda si tiene prudentemente alla larga.

La Procura di Caltanissetta, altrettanto alacre quanto a numero di interrogatori e perquisizioni, nei suoi comunicati ufficiali a commento dell’inchiesta, si tiene altrettanto prudentemente alla larga dal tabù. Certo. Uno si aspetterebbe un tam tam della famiglia, in questa fase delle indagini, sulla necessità di una ricerca e di un ritrovamento.

Invece, niente. Come mai?

Che se ne tengano alla larga il generale Mori e il capitano De Donno, si può perfettamente capire. Loro restano dell’avviso di sponsorizzare mafia e appalti. Ma a ben vedere, anche il loro comportamento è meno chiaro di quanto potrebbe apparire a prima vista.

Qualche domanda.

Se davvero Borsellino muore di mafia e appalti, non è di mafia e appalti che dovrebbe parlare l’Agenda Rossa?

E a maggior ragione, i figli e l’avvocato Fabio Trizzino, tetragono nel rifiutare ogni pista che non sia di origine mafiosa, non dovrebbero essere loro per primi a pretenderne il ritrovamento? Loro che per primi ne ribadirono l’esistenza? Per dimostrare finalmente, carte alla mano, che Borsellino andò a cozzare contro lo sterminato potere stragista delle famiglie mafiose dei Buscemi e dei Bonura?

Molte cose non tornano.

Anche Giorgia Meloni, che pur rivendica di essere scesa in politica il giorno della morte di Paolo Borsellino, la parolina magica, Agenda Rossa, non l’ha mai pronunciata. Va ricordato però che lei è la stessa che ha dovuto attendere la sentenza di terzo grado per constatare che a provocare gli 85 morti della Stazione di Bologna (strage di cui oggi ricorre il quarantacinquesimo anniversario) furono i terroristi fascisti.

Ma questa è un’altra storia.

C’è sempre voluto tanto tempo in Italia per accertare le responsabilità criminali e penali dei fascisti e dei terroristi neri.

La rubrica di Saverio Lodato

Fonte: Antimafia DUEMILA


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