Preti contro il genocidio

La parola araba sumud che abbiamo imparato a conoscere per via della Flottilla è di difficile traduzione.

“Sumud – scrive Pietro Stefani – significa “fermezza”, “perseveranza incrollabile” e incarna una combinazione di resilienza, resistenza e determinazione di fronte alle avversità. Riferito spesso alla lotta palestinese, rappresenta la resistenza quotidiana nonviolenta contro l’occupazione e la pulizia etnica”.

Anche i “preti contro il genocidio” che oggi sono a Roma a dire il proprio no alle stragi e alle strategie di morte messe in atto dal governo di Netanyahu senza dimenticare quella di Hamas, è un segno di un sumud che riconosce le proprie radici nella parola del Vangelo. È nonviolenza che si fa voce o, semplicemente, segno. È messo sulle strade di Roma dalla fame, dal sangue, dalle lacrime e dalla disperazione che sale dalla Striscia.

È un sumud che si unisce ad altri segni e gesti di sumud e gli conferisce la forza della volontà di non arrendersi nonostante tutto. Di non rassegnarsi. Di non arrivare a dire: “Tutto è finito”. E noi sappiamo che quel massacro genocidario non ha il potere di scrivere la parola fine. Al contrario riesce a dire che è proprio da quella sconfitta che bisogna ripartire.

Tutto quel sangue e quel dolore stanno fecondando la speranza. E la speranza in Palestina è incinta. Sta vivendo le doglie del parto. Noi siamo soltanto le levatrici. 

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