Le pagelle a scuola. I bimbi imprenditori infilati nel frullatore delle “competenze”

Bambini scuola primaria

Sono arrivati quasi insieme, come sempre: il momento della maturità e il momento delle pagelle. Ma non mi occuperò del primo, anche se sono stato affascinato dal tema su Borsellino e i giovani. Perché sono rimasto soprattutto sconvolto dalle pagelle. Più esattamente per averci trovato uno di quei dettagli che da soli rivelano un’epoca.

Ho scoperto cioè, con beato ritardo, che i bimbi delle elementari vengono giudicati per le loro “competenze imprenditoriali”. E mi è sembrato semplicemente pazzesco. Sintomo dell’assenza di “competenze elementari” (già) da parte di chi ha ideato questo criterio di valutazione. Gli attributi imprenditoriali non hanno infatti proprio nulla a che fare con la categoria delle “competenze”. Forse sarebbe bastato dare una lettura di cinque minuti alla letteratura sulla imprenditorialità per evitare al Ministero dell’Istruzione (e del Merito, ci mancherebbe…) un simile strafalcione.

Spiega il massimo teorico dell’imprenditorialità, Joseph Schumpeter, che l’imprenditore è mosso da motivazioni e istinti naturali, altro che competenze. E precisamente: uno spirito creativo, lo spirito di lotta che lo porta a combattere contro le convenzioni del contesto sociale, la spinta a fondare una dinastia. Per queste ragioni, tra loro variamente combinate, egli si erge come innovatore nel cosiddetto “flusso circolare dell’economia”. Per questo, dicono gli autori classici, il talento imprenditoriale non si trasmette facilmente attraverso le generazioni. Insomma, nulla di più lontano dal concetto di “competenze”.

Ma poi, quali capacità imprenditoriali dovrebbe mai dimostrare un bimbo delle elementari? Immaginatevi le prove alle quali sottoporlo. Dimmi, bambino, a quanto rivendi i doppioni delle tue figurine? Li scambi o ne fai compravendita, e a che valore? Sulla base di quali valutazioni? Quanto ci guadagni in base a quello che ti è costato -a te o ai tuoi genitori- comprarle? E con che criteri scegli gli oggetti di cartoleria che ti servono? La qualità, la durata, il prezzo, o forse il valore che potranno raggiungere l’anno dopo? E come investi un regalo di dieci o venti euro che ti fa tuo nonno?

Forse chi ha immaginato il bambino imprenditore è riandato con la mente ad alcuni passi autobiografici di Silvio Berlusconi. Magari a quei simpatici affreschi con cui l’imprenditore per eccellenza raccontava come vendeva i compiti ai suoi compagni di classe. Ma non è finita.

Perché se poi si scende nel concreto e si vede che cosa si intenda per “competenza imprenditoriale”, la cosa si fa davvero imbarazzante. Vediamo.

“Dimostrare originalità e spirito di iniziativa. Realizzare semplici progetti. Assumersi le proprie responsabilità, chiedere aiuto e fornirlo quando necessario. Riflettere sulle proprie scelte.”

Al di là delle virgole, sono 5 requisiti. Il primo è lo spirito di iniziativa. Il secondo fare progetti (un po’ come quelli di Gravina, che ogni volta che cambia allenatore alla nazionale giura che “c’è un progetto”; e meno male). Il terzo è il senso di responsabilità. Il quarto è la solidarietà. Il quinto è lo spirito autocritico.

Signore e signori, il frullato di questi cinque orientamenti positivi dell’animo umano è diventato per la nostra scuola di base (di base, ripeto) il sistema delle competenze imprenditoriali. Bisogna ammettere che in tempi di guerra tutto ciò comunica almeno una sua vena umoristica contagiosa.

Immaginate qualcuno che si chieda come dare plasticamente l’idea di una scuola che porti finalmente il marchio del centrodestra al governo. Un’idea facile facile: parliamo di cultura di impresa.

Non sarebbe nemmeno sbagliato, se soltanto lo si sapesse fare. Qui invece siamo al livello dei prestigiatori che mescolano le parole e alla fine dei loro acacadabra, quando pensano di avere tracciato nuove luminose strade per i piccoli italiani, scoprono di avere perso per strada anche l’italiano e il senso del ridicolo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 23/06/2025

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