Le persone detenute e il reinserimento

Carcere

La nota del 21.10.2025 con cui il DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) obbliga le Direzioni degli istituti penitenziari in cui siano presenti detenuti allocati in reparti di Alta Sicurezza o in regime ex art. 41 bis OP a sottoporre a preventiva approvazione della Direzione Generale Detenuti e trattamento ogni evento di carattere trattamentale che coinvolga la comunità esterna al carcere, appare gravemente distonica con i principi costituzionali della finalità rieducativa della pena e con le norme dell’ordinamento penitenziario in materia di trattamento penitenziario.

Il meccanismo individuato dalle nuove diposizioni introduce un controllo dall’alto, a monte, sulle iniziative trattamentali, privando i Direttori del compito di selezionare le iniziative più adeguate alla realtà concreta dei singoli Istituti, mortificandone il ruolo e le competenze, in evidente contrasto con il principio di individualizzazione del trattamento rieducativo, che si concretizza attraverso interventi che prendano in considerazione le specificità di ogni detenuto.

Principio reso effettivo dall’art. 17 OP, che dispone che la finalità del reinserimento delle persone detenute deve essere perseguita anche attraverso la partecipazione di volontari, privati, istituzioni, enti e associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa, individuando nell’accesso della comunità esterna in carcere un momento essenziale di attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa della pena.

Il sistema introdotto dalla circolare, riservando al DAP la preventiva autorizzazione di ogni attività ed evento organizzato con il contributo esterno, finisce con l’esautorare anche il Magistrato di Sorveglianza, chiamato ai sensi dello stesso art 17 O.p.  a svolgere, attraverso l’autorizzazione, un fondamentale compito di verifica della coerenza dell’attività proposta con il concreto percorso rieducativo.

La nuova disposizione, infatti, burocratizzando e centralizzando il sistema di accesso in carcere di enti associazioni e persone impegnate in attività rieducative culturali e ricreative, incide surrettiziamente sul sistema disegnato dall’ordinamento penitenziario che, all’art. 17,  prevede che sia il magistrato di sorveglianza ad autorizzare, su parere favorevole del Direttore tutti coloro che, avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti, dimostrino di poter utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.

La concreta applicazione di tale disposizione, mentre finora non ha mai recato alcun vulnus alla sicurezza negli istituti, ha consentito di realizzare numerosissime attività ed eventi indispensabili per un trattamento penitenziario orientato alla finalità rieducativa ed al reinserimento sociale.

Il rischio concreto è che si determini un intollerabile rallentamento dei percorsi rieducativi già in essere e una drastica riduzione di nuove offerte trattamentali, con gravissimo danno per le persone detenute che saranno private di strumenti essenziali di risocializzazione, con conseguente pregiudizio anche per la sicurezza della collettività.

Il Ministero della Giustizia, ormai totalmente inerte di fronte ad un sovraffollamento carcerario in costante e allarmante crescita ed a condizioni detentive sempre più insostenibili, continua ad adottare misure e provvedimenti che rispondono unicamente ad astratte finalità repressive e sicuritarie e che sacrificano ingiustificatamente le finalità del trattamento e della rieducazione e i diritti delle persone detenute.

Il gruppo di lavoro su esecuzione penale e sorveglianza di Area Democratica per la Giustizia