L’inquietudine della ricerca di don Lorenzo Milani arriva fino a noi

Barbiana

Visitare la canonica di Barbiana, nei luoghi della scuola di don Lorenzo Milani è sempre di per sé emozionante, soprattutto se si segue il cammino che lo stesso don Lorenzo ha fatto a piedi dal fondo valle alla chiesa in quel pomeriggio dei primi di dicembre del 1954, quando di fatto fu mandato in esilio, dopo gli anni di Calenzano, dalla curia fiorentina.

Oggi quel cammino ospita la via della Costituzione e per don Lorenzo Costituzione e Vangelo erano molto simili. Per lui la Costituzione era il vangelo laico su cui si basa la nostra convivenza civile e sociale e ne parlerà molto nella sua “Lettera ai giudici”, considerata da molti un capolavoro del diritto.

Arrivati alla fine della via della Costituzione (di cui esiste oggi un percorso simile nella nostra San Giovanni Valdarno, nel giardino che unisce piazza Dalla Chiesa con viale Gramsci), ci troviamo di fronte alla chiesa e alla canonica di Barbiana.

All’ingresso di quella che diventerà l’aula della scuola, ci accoglie il Prof. Lauro Seriacopi che ha conosciuto la scuola nel 1968 (un anno dopo la morte di don Lorenzo) accompagnato qui da Padre Ernesto Balducci. Il Prof. Seriacopi, per anni docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Classico “Machiavelli” di Firenze, nella sua lunga carriera ha fatto parte anche della Società Filosofica Italiana. Oggi in pensione è un volontario della fondazione don Milani e sarà la nostra bravissima guida alla scoperta dei luoghi e del pensiero del priore di Barbiana.

E tutto cambia, quando alle parole del racconto, si uniscono gli spazi, gli oggetti, i libri, gli strumenti, che fanno parte di quel racconto.

Don Milani era inquieto e inquietante al tempo stesso – ci spiega Lauro – ed essere inquieti vuol dire vivere attraverso le domande fino al momento in cui si chiuderanno gli occhi per l’incontro finale con il creatore. Solo in quel momento tutto sarà chiaro e l’inquietudine terminerà”.

Don Lorenzo amava l’arte e soprattutto la pittura, che cercherà di sviluppare anche nei suoi anni a Barbiana, ma già si era manifestata prima.

Don Milani aveva avuto come primo insegnante nella pittura un artista tedesco, Hans Joachim Staude, padre della moglie di Tiziano Terzani e in seguito aveva frequentato la scuola di Breda a Milano per imparare a dipingere.

Quindi conosce le tecniche e la pittura è una parte essenziale della sua vocazione che è ricerca dell’infinito. Diceva “L’arte è ricerca dell’essenziale, della verità per questo è infinita..”.

Ma Lorenzo amerà anche altre forme di espressione come la musica che insegnerà a leggere ai suoi ragazzi. Molto bella è la visita alla stanza della musica, all’interno della canonica dove i ragazzi ascoltavano dischi, costruivano rudimentali, ma funzionanti radio, imparavano gli spartiti.

L’aula dove si svolgevano la maggior parte delle 12 ore giornaliere di lezione per 365 giorni l’anno, ci parla di tante cose, dei libri dove si imparava di tutto, di politica, di storia, di scienza, di geografia, di astronomia, di storia delle religioni.

Ma ci parlano anche quei tavoli costruiti dai ragazzi, quelle sedie di ferro da loro saldate, quelle panche indistruttibili costruite al piano di sotto nel laboratorio dove si scoprivano, attraverso la realizzazione concreta di oggetti e cose, l’importanza della matematica, della geometria.

L’inquietudine della ricerca viveva in don Milani –  ci spiega ancora il professore – perché per lui il senso della vita non è arrivare alla verità, ma il dovere della ricerca continua“. E mentre ci dice queste cose, seduti su quelle panche che un giorno accoglievano i ragazzi di don Lorenzo, i suoi occhi si illuminano, si velano di lacrime, in un commosso ricordare che si intuisce, ha dato un senso alla sua vita di insegnante.

È bello ascoltare il prof. Seriacopi dell’Amiata, la terra di Padre Ernesto Balducci, che lui ha frequentato, che ha avuto anche la fortuna di conoscere ed essere stato amico di Giorgio La Pira. “Balducci, La Pira, David Maria Turoldo, l’esperienza dell’Isolotto – continua il professore – sembra quasi che lo Spirito Santo avesse deciso in quegli anni di fermarsi a Firenze e in queste terre toscane”.

Si capisce che il prof Seriacopi, che oggi sta tenendo a noi una bellissima lezione, è un uomo di grande cultura e si intuisce che deve essere stato anche un bravissimo insegnante.

È stata un’ora e mezzo di ascolto che mi ha scaldato il cuore.

Come quando ci ha letto alcuni brani del libro “la parola fa eguali” che raccoglie l’essenza stessa della scuola di Barbiana, perché è essere padroni della parola cio’ che manca ai poveri per non essere da meno dei ricchi.

E proprio sull’uso delle parole, sul loro significato, sulla loro storia, evoluzione  ma anche sulla conoscenza delle lingue, che si basa il concetto didattico di don Lorenzo.

Su una parola si poteva discutete per ore, per giorni alla scuola di Barbiana, fino a diventarne padroni, in modo che nessuno, attraverso l’uso di quella parola, possa sopraffarci.

In questo modo la scuola diventa uno strumento di emancipazione sociale dei poveri, perché ne sarà riconosciuta la piena dignità. Così la scuola diventa anche uno strumento per superare la paura, perché conoscere, ricercare il significato delle cose, ci aiuta anche a non avere paura dell’altro.

Per il Prof Seriacopi don Lorenzo, che viene dal mondo dei ricchi e dei colti, a Barbiana riscopre la sua dimensione di povero, e avviene un fatto bellissimo nei momenti che precedono la sua morte, quando uno dei suoi ragazzi dice ai suoi compagni che di là in quella camera sta avvenendo un miracolo, ovvero che “il cammello sta passando dalla cruna dell’ago”.

Essere povero per don Lorenzo vuol dire “sentirsi in perenne ricerca e di avere bisogno di qualcuno che sta di sopra perché Dio innalza il povero come dice Maria nel Magnificat “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.

E non può mancare nella lezione del Professore un riferimento alla frase forse più famosa di don Lorenzo e dei suoi ragazzi, quell’ I Care, mi sta a cuore, che racchiude l’essenza dell’insegnamento che come un grido verso il mondo, proviene dalle colline di Barbiana.

L’obbedienza è la più subdola delle tentazioni per don Milani – ci dice Lauro –  Si deve uscire dall’indifferenza, si deve aver cura dell’altro, farsene carico, perché noi uomini e donne viviamo di relazioni, e non ci può essere relazione se non si riconosce all’altro pari dignità. Siamo tutti nella stessa barca e ci salviamo insieme. Girarsi dall’altra parte o far finta di niente è una forma di complicità. Non ci dobbiamo addormentare; accade anche oggi, per esempio,  in Palestina. Tutto ciò è permesso anche da tutti noi che non ci agitiamo, non siamo turbati, non ci indigniamo e la nostra vita continua a scorrere come se niente fosse”.

Oggi è  proprio una giornata particolare perché in questa nostra conoscenza della scuola di Barbiana oltre a incontrare il Prof. Seriacopi, abbiamo la fortuna di incrociare Agostino Burberi, il primo dei ragazzi che ha conosciuto don Lorenzo al suo arrivo a Barbiana, e Gianni Buti, un altro dei suoi ragazzi della scuola . Entrambi stanno lavorando all’allestimento di una mostra fotografica.

Più tardi all’uscita incontreremo anche Fiorella Tagliaferri, una delle sue alunne, perché mentre le scuole vivevano ancora la divisione in classi per maschi e classi per femmine, a Barbiana si studiava tutti insieme.

Oggi quei ragazzi di ieri sono volontari nella fondazione don Milani e testimoni di ciò che quella scuola è stata per loro. E vivono questo loro tempo di oggi con lo stesso entusiasmo, passione, curiosità di ieri, tramandando a noi il messaggio di don Lorenzo in quello che già di per sé è un segno di eternità.

Dopo aver sostato nel laboratorio, dove si dava concretezza alle parole studiate e fatte proprie, la visita si conclude nella piccola chiesetta dove scopriamo il santo scolaro, un mosaico apposto su una parete della chiesa che ha tutta una sua storia come ci spiega ancora il Prof. Seriacopi: “La santità è, per il priore di Barbiana, ricerca continua, domande che cercano risposte, inquietudine. Don Lorenzo disegna questo ragazzo con il saio che non ha un volto; è una immagine senza faccia, senza una identità ben precisa.. perché così può rappresentare tutti i suoi ragazzi.. Il volto è coperto da un libro che non è la Bibbia o i Vangeli, ma un libro anonimo che appresenta tutti i libri che si studiano o si leggono… Sì perché i santi sono i suoi ragazzi che stanno qui e studiano tutti i giorni… Don Lorenzo disse ai ragazzi di non dire niente che avevano inventato un nuovo santo “il Santo scolaro”.

Don Milani fece il disegno del santo e di alcuni dei fiori, mentre altri fiori sono stati disegnati dai ragazzi che hanno poi realizzato il mosaico di vetri di tutto il disegno. E tutte le vetrate in mosaico della chiesa sono state realizzate dai suoi ragazzi.

Usciamo dalla chiesa e, se al nostro arrivo la valle del Mugello era ancora nascosta dalla nebbia, ora il sole illumina tutto e un panorama bellissimo ci accoglie tutto intorno.

Ma sono il nostro cuore e la nostra mente ad essere stati illuminati, come se tutto fosse un po’ più chiaro e forte la spinta che quelle parole ascoltate ci dessero la forza di agire ancor di più nella nostra vita.

Manca l’ultima visita, quella alla tomba, non solo di don Lorenzo, ma anche della Eda, la sua perpetua, che lo ha accompagnato fino a Barbiana e poi è rimasta qui a testimoniare il pensiero del priore di Barbiana, e a Michele Gesualdi, forse l’alunno che più è conosciuto della sua scuola, per anni Presidente della Fondazione e che ha avuto anche incarichi politici importanti.

Davanti alla sua tomba non resta che dire grazie, e mi viene da pensare che lo Spirito Santo continua a voler agire anche su di noi, attraverso un ricordo che si deve fare conoscenza ed azione…

Penso a quanto ci dice spesso a Libera Luigi Ciotti, che “non basta commuoversi, ma occorre muoversi” e forse il senso di questa visita sta proprio qui, in queste parole.

Così usciamo dal cimitero non pensando alla morte, ma alla vita che ci aspetta dove viviamo, perché “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diversi” e ” Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica” e noi dobbiamo fare la nostra parte…