“Ciò che dice Ciancimino jr a proposito della sua cassaforte non
perquisita mi fa venire in mente che con queste casseforti nella storia
della mafia e degli apparati che le ronzano intorno ci sono sempre
problemi”. Lo dice Salvatore Borsellino, fratello del procuratore
aggiunto di Palermo Paolo, assassinato nella strage di via D’ Amelio il
19 luglio ’92 dopo le rivelazioni di Massimo Ciancimino, figlio del
sindaco mafioso di Palermo, Vito, sul papello con le richieste di Cosa
nostra allo Stato che avrebbe chiuso in una cassaforte in casa propria
non aperta dai carabinieri durante una perquisizione. ”Mi vengono in
mente la cassaforte di Dalla Chiesa – aggiunge – Il pc e le agende
elettroniche di Giovanni Falcone, ispezionati da qualcuno e ripuliti,
la cassaforte del covo di Totò Riina trovata vuota e mi torna in mente
sempre l’agenda rossa di mio fratello che non è mai stata trovata”. Sul
“papello” che sarebbe in mano a Ciancimino, condannato per aver
riciclato parte del tesoro mafioso del padre e che cammina scortato per
intimidazioni ricevute, Salvatore Borsellino dice: “Mio fratello era
stato informato dagli organi istituzionali della trattativa in corso
tra mafia e Stato. Non poteva non esserne informato. Il motivo
dell’accelerazione della eliminazione di Paolo è che lui si era messo
di traverso rispetto a questa trattativa nel momento in cui ne fu
informato”.
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