Cinque intensi giorni a Riccione per ricordare Ilaria Alpi e Miran Hrovatin assassinati in Somalia il 20 marzo del 1994, mentre indagavano su uno tra i più fitti ed intricati misteri del nostro paese. Tanti ospiti che dimostrano come il lavoro dei due giornalisti del Tg 3 sia di stretta attualità per le vicende del nostro Paese. Attuale è la mancanza di una verità giudiziaria che possa mettere una volta per tutte la parola fine alle dinamiche per portarono alla morte di Ilaria e Miran. Il traffico di rifiuti tossici spesso accompagnato da quello delle armi, il ruolo opaco dei servizi segreti del nostro paese.
La volontà di far tacere chi, indagando giornalisticamente, ha dato diritto di cittadinanza a una notizia, in molti ambienti ritenuta pericolosa per i nuovi equilibri che si stavano delineando in Italia. Ebbene, a sedici anni da quel tragico 20 marzo, non solo la giustizia non ha dato un verdetto chiaro ed esaustivo, ma restano attuali il traffico dei rifiuti tossici, con le navi della “vergogna” che ogni tanto riappaiono nei fondali del Mediterraneo senza che ci sia un intervento per individuarle e neutralizzarne il carico di veleni. Resta attuale il ruolo dei servizi segreti che, in tutte le vicende più oscure della storia d’Italia, hanno avuto responsabilità in termini di depistaggi, oscuramenti, affossamenti. Resta, infine, attuale la difficoltà di fare un’informazione di inchiesta. Il bavaglio che si appresta a diventare legge colpirà magistrati e forze dell’ordine che indagano e giornalisti che svolgono il dovere di informare.
Se l’informazione ha lavorato, bene o male, sul caso Alpi – Hrovatin, la magistratura che ruolo ha svolto? «La giustizia – risponde ai microfoni del premio in diretta Andrea Vianello – invece, il suo mestiere non lo ha fatto. Adesso – sottolinea Vianello – c’è in carcere una persona, probabilmente una persona sbagliata, messa dentro come capro espiatorio. In realtà dietro c’è una storia molto più ampia. Che la magistratura ancora non è riuscita a svelare». Quella di Ilaria e Miran, spiega Luciano Scalettari, giornalista di Famiglia Cristiana e consulente, per un breve periodo, della Commissione parlamentare sul caso Alpi, è strettamente legata alla questione delle navi dei veleni e del traffico di armi. «Il dato certo – aggiunge – è che Ilaria Alpi in quegli ultimi giorni di vita, quando era a Bosaso e indagava in fondo sul peschereccio somalo della flotta Shifco, che si chiamava Farah Omar. Sulla flotta Shifco, una cosa che è emersa adesso, molto rilevante, è il documento ONU del 2003, che ha indagato e ha trovato gli elementi per dire che questa flotta è stata utilizzata per traffico di armi». Armi in cambio di rifiuti, riconducile ad un grande trafficante internazionale Monser al Kassar «il più importante dal punto di vista internazionale sul traffico illecito di armamenti».
Mariangela Gritta Grainer, portavoce dell’associazione Ilaria Alpi e componente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla malacooperazione, aggiunge elementi importanti. «Ilaria prima di partire – dice – aveva scritto in un suo taccuino, ritrovato dopo la sua morte a Saxa Rubra “dove sono finiti i 1400 miliardi della cooperazione italiana con la Somalia”? Questo testimonia che lei stava indagando sulla mala-cooperazione italiana con la Somalia in particolare. Se ne occupò la prima commissione bicamerale di inchiesta sulla cooperazione con i paesi in via di sviluppo, e proprio il progetto Shifco, pesca oceanica era intitolato, è finito nel mirino di Tangentopoli. Se ne occupò la procura di Milano e poi fu spostato a Roma, dove tutto è poi andato nel dimenticatoio».
Rallentamenti, depistaggi, soldi per la cooperazione buttati al vento, una flotta mercantile riconducibile ad un ingegnere italo – somalo, Omar Mugne, che un rapporto ONU del 2003 riconduce al traffico dei rifiuti, c’è dietro l’azione dei servizi? «In tutta la storia della Repubblica – dichiara Roberto Morrione direttore di Libera Informazione – i servizi hanno avuto un ruolo fondamentale in molti episodi. Credo che la vicenda di Ilaria e Miran non faccia eccezione ». «Voglio anche sottolineare – aggiunge – che i servizi hanno continuato ad avere questo ruolo, fino ad oggi. Tutto quello che sta venendo fuori sulla metà degli anni ’90 con le stragi, dimostra una presenza sistematica dei servizi della Repubblica assolutamente anomala, illegale, per coprire interessi che probabilmente erano da un lato politici e dall’altro direttamente affaristici.
Fino ad arrivare al giorno d’oggi, quando abbiamo visto il generale Pollari e il suo braccio destro Pompa al centro di scandali terribili, di intercettazioni illegali, sulle quali il governo Berlusconi ha posto accuratamente il segreto di Stato». Silenzio sul ruolo dei servizi, silenzio anche sulla stampa. Inevitabilmente il “bavaglio” sull’informazione è diventato il tema delle giornate di Riccione. Un premio dedicato ad una giornalista uccisa assieme al suo cameraman, non può non considerare il “bavaglio” la più grande minaccia all’informazione, e quindi alla libertà, in Italia. «Questa è una legge che Berlusconi fa per sé stesso e per i suoi uomini per evitare che si continui ad indagare, che si parli da qui alle elezioni».
Ne parla Concita De Gregorio, direttrice de l’Unità. «Questa è una legge a tempo – aggiunge – che sarà evidentemente cassata o a livello europeo o al primo ricorso alla Corte Costituzionale. Comunque a mio parere vivrà il tempo sufficiente per evitare che si parli di cricche, di corruttele, di mafie, e poi ci sarà il processo di Palermo. Quindi serve adesso e serve a Berlusconi». «Non è più controllando le agenzie – sottolinea Maurizio Torrealta, responsabile del Nucleo Inchieste di Rainews 24 – che tu eviti che escano le notizie. Quando dico notizie, intendo anche le registrazioni, i filmati». «Se fossimo in un paese normale – conclude la De Gregorio – mi occuperei di capire come mai il presidente del consiglio è il terminale di notizie che riguardano intercettazioni illecite o ricattatorie, o addirittura protagonista del passaggio medesimo di questo materiale.
Mi chiederei come mai la stessa persona di cui stiamo parlando è così interessata a blindare un testo, con una priorità assoluta, che vieta agli altri quello che lui evidentemente fa per il suo personale tornaconto». Tutto torna attuale e ingarbugliato, alimentando misteri sempre più intricati che vedono protagonisti sempre gli stessi attori. Una domanda sorge spontanea: siamo un Paese normale?



