Niscemi: le dichiarazioni di Antonino Pitrolo

Martedì 18 Maggio, gli inquirenti impegnati nella conduzione di due importanti procedimenti penali, uno milanese e l’altro calatino, attendevano, perlomeno con curiosità, l’esordio, tra le fila dei collaboratori di giustizia, di uno dei più rilevanti esponenti di cosa nostra nissena, quell’Antonino Pitrolo che, almeno per sette anni, ha capeggiato, sempre seguendo le direttive provenienti da Gela, il gruppo criminale di Niscemi.

La decisione di varcare una soglia, quasi impronunciabile all’interno di quello che fu il suo mondo, Pitrolo l’ha assunta dopo anni di omicidi, circa venti, ed attività  illegali: una scelta costatagli il disprezzo dei suoi ex uomini, decisi a fargliela pagare cara, prova ne è il piano sventato, lo scorso Agosto, con al centro l’intento di eliminare alcuni stretti parenti.

“Ninu ‘u pivulu”, questo il nome di “battaglia” del nuovo collaboratore, ha, così, deposto, nell’arco di un’unica giornata, di fronte a due diverse Corti d’Assise. 

Ai giudici del Tribunale di Caltagirone che lo hanno sentito nell’ambito del processo, “Apogeo”, vera disamina della struttura criminale di Niscemi, piccolo centro della provincia di Caltanissetta, Pitrolo ha descritto la capacità della sua organizzazione di infiltrarsi all’interno della macchina amministrativa: stando alle sue parole, infatti, il vero tramite doveva identificarsi in Paolo Rizzo, sindaco democristiano della città del carciofo, dal 1989 al 1992, anno nel quale venne deliberato il provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, ed arrestato nell’Ottobre del 2004, proprio a seguito del blitz condotto dalle forze dell’ordine, a pochi mesi dal secondo scioglimento del civico consesso, avvenuto sei mesi prima. 

Il teste sentito, contemporaneamente imputato nel medesimo procedimento, ha descritto l’ex primo cittadino alla stregua di “un camaleonte, pronto a schierarsi con il mio gruppo o con quello degli stiddari, i Russo, in base ai suoi bisogni più impellenti”.

Nonostante simili ammissioni, legate a quelle che hanno sviscerato i rapporti tra il gruppo di cosa nostra niscemese e quello gelese, il pm, Iole Boscarino, ha comunque richiesto l’assoluzione di Paolo Rizzo insieme a quelle degli altri ex amministratori comunali interessati, oramai sei anni addietro, dall’inchiesta “Apogeo”. 

A Milano, invece, Antonino Pitrolo, è stato invitato a deporre sui fatti connessi all’omicidio del gelese, Crocifisso Verderame, avvenuto il 3 Ottobre del 1988, rientranti nell’arco di un più ampio processo, con al centro diversi fatti di sangue cagionati, proprio nell’area della capitale finanziaria del paese, da una faida mafiosa “esportata” in Lombardia.

In questo caso, “Ninu”, ha confermato la sua partecipazione all’operazione, insieme a Maurizio Morreale, ucciso a Gela nel 1995, Alessandro Barberi e Francesco Viola, a sua volta assassinato; la richiesta, stando alla testimonianza, sarebbe pervenuta direttamente da Giuseppe Madonia, capo storico del gruppo gelese, allo scopo di punire “uno che a Milano si stava allargando troppo, soprattutto nel settore degli stupefacenti”. 

Il dichiarante, infine, si è autoaccusato dell’omicidio, ribadendo che il suo intervento nel corso dell’agguato, teso alla vittima a San Giuliano Milanese, sarebbe stato decisivo.

A conclusione dell’interrogatorio, condotto dal pm Musso, inoltre, sia Giuseppe Madonia che Alessandro Barberi hanno voluto smentire le parole di Pitrolo, affermando di non aver mai partecipato a omicidi o organizzato simili operazioni insieme al teste.

La corte milanese, intanto, procederà a sentire altri testi, allo scopo di concludere l’udienza preliminare, ed emettere il proprio verdetto in direzione degli imputati che hanno fatto richiesta di rito alternativo.