Del commando che, nel febbraio di dodici anni fa nelle campagne di Niscemi, uccise il boss ennese Giuseppe Mililli avrebbe fatto parte anche il cinquantunenne Francesco Ghianda, componente della famiglia di cosa nostra di Mazzarino. Questo il risultato di una ricostruzione effettuata, dopo diverse analisi, dagli uomini della squadra mobile di Caltanissetta e da quelli del commissariato di Spoleto. Ghianda, già detenuto proprio all’interno del penitenziario umbro per il duplice omicidio di due mazzarinesi, avrebbe materialmente partecipato alla spedizione. Giuseppe Mililli, infatti, venne attirato nelle campagne niscemesi di contrada Arcia: fu, prima, strangolato e, successivamente, il suo corpo venne dato alle fiamme. I suoi resti vennero occultati all’interno di un fusto di gasolio.
La vittima, in quel periodo, stava cercando di scalare i vertici dell’organigramma di cosa nostra ad Enna. L’omicidio, stando agli inquirenti, sarebbe stato commissionato dai boss Gesualdo La Rocca, della famiglia di San Michele di Ganzaria, e Daniele Emmanuello, reggente a Gela. Ad agire sarebbero stati, oltre a Francesco Ghianda, anche Salvatore Siciliano, Carmelo Massimo Billizzi, Sebastiano Montalto, Fortunato Ferracane ed Antonino Pitrolo. Un gruppo tutto composto da affiliati alle famiglie mafiose di Gela, Niscemi, Mazzarino e San Michele di Ganzaria. Francesco Ghianda era già finito in manette con l’accusa di aver partecipato all’omicidio ma, nel novembre dello scorso anno, il tribunale del riesame di Catania aveva deciso la revoca della misura cautelare infertagli. La conferma della sua responsabilità è, però, giunta dalle dichiarazioni rese da Carmelo Massimo Billizzi, nuovo collaboratore di giustizia, Antonino Pitrolo e Fortunato Ferracane.



