Sono appena tornato a Roma (alle tre di notte) dal luogo dell’agguato notturno di fronte all’abitazione di Sigfrido Ranucci, in località Campo Ascolano, a Pomezia.
A 33 km da Roma Capitale.
Un anonimo tratto di strada sul quale si affacciano alcune palazzine apparentemente tutte uguali.
Non è facile arrivarci perché carabinieri e agenti di polizia hanno – come di norma – transennato l’intera zona per consentire la bonifica, indispensabile in casi come questi, che è tuttora in corso.
Ero giunto sul posto all’una e trenta, in ritardo rispetto a quando erano accaduti i fatti (pare attorno alle 22), nella illusoria convinzione di trovarmi di fronte a uno schieramento nutrito di uomini politici e rappresentanti delle istituzioni, dei quali invece non c’era alcuna traccia.
Ho visto le due auto pesantemente danneggiate dall’esplosivo, ma non completamente distrutte. Come si sarebbe poi appreso, una era di Ranucci e l’altra di sua figlia. Entrambi, per pochi minuti, avevano fortunosamente evitato il loro appuntamento con la morte.
Ho chiesto ad alcuni dei funzionari presenti se nei prossimi giorni le telecamere saranno d’aiuto.
L’ho chiesto perché l’Italia è un Paese controllato da milioni di telecamere.
Ho appreso, invece, che di fronte all’abitazione di Sigfrido Ranucci (il giornalista della trasmissione di Rai Tre, Report, conosciuto da tutta Italia per le sue clamorose, scomode, dirompenti indagini sul malaffare italiano) non ci sono telecamere di alcun tipo.
A quel che ne sappiamo, Sigfrido Ranucci gode di un servizio di scorta.
Come si spiega l’assenza di una telecamera di fronte casa sua?
Strano Paese, l’Italia.
Qualcuno sarà chiamato a dare risposta a questa semplice e legittima domanda?
Piaccia ad alcuni, non piaccia ad altri, Sigfrido Ranucci rappresenta un fiore all’occhiello dell’informazione italiana.
Fonte: Antimafia DUEMILA



