Pizzo sulle case popolari, sulle forniture di luce e acqua ed estorsioni ai commercianti dello Zen, il popoloso quartiere periferico di Palermo. Sono 14 gli arresteti compiuti oggi dagli uomini della Dia e della squadra mobile del capoluogo siciliano, coordinati dai sostituti procuratori Del Bene, Picozzi, Grassi e Pizzi della Dda palermitana.
Le indagini, scaturite dalla denuncia di alcuni abitanti dello Zen e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Giordano, hanno messo in luce le attività estorsive del clan egemone. Agli accusati sono contestati numerosi reati che vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione aggravata. I boss, inoltre, pretendevano grosse somme di denaro dagli inquilini degli alloggi popolari, garantendo, previo pagamento di dieci euro, le forniture di luce e gas.
«A Palermo siamo abituati alla pratica del pizzo. Il fatto nuovo è che qui si tratta di pizzo riscosso nei confronti di soggetti che abitano le case popolari dello Zen, e dimostra che la mafia esercita un controllo territoriale stringente, anche al di là della sua attività economica principale»» – ha detto il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, a margine della conferenza stampa sull’operazione della Squadra Mobile di oggi. «Si tratta proprio di controllo – ha detto Messineo -, imponendo delle forme di tassazione a coloro che abitano gli immobili. Il procuratore ha sottolineato la difficile situazione dello Zen, un quartiere in cui il vuoto di legalità, concede sempre più ampio spazio alla proliferazione di attività illecite: “Per lo Zen possiamo parlare di totale assenza di poteri legali – ha detto -, e una forma di occupazione del territorio da parte dei poteri illegali. Probabilmente ci sono responsabilità condivise da vari organismi che hanno fatto si che lo Zen diventasse una sorta di ‘zona franca’, dove la legge dello Stato viene applicata soltanto in casi particolari e in determinate occasioni».
Nel corso delle indagini, gli investigatori avevano sequestrato nel 2011 in un garage in uso a Covello, una sorta di libro mastro dov’era annotata la contabilita’ della gestione degli alloggi popolari. Piu’ di 200 famiglie venivano vessate dai mafiosi, che le costringevano a pagare un ‘pizzo’ di dieci euro al mese per l’acqua e la luce. Le utenze di chi non pagava venivano interrotte. Il pentito Salvatore Giordano, uno tra i collaboratori che hanno contribuito all’inchiesta, ha raccontato di essere stato lui stesso acquirente di un immobile di proprieta’ dell’Istituto autonomo case popolari ma di cui la mafia si era appropriata. A venderglielo, al prezzo di favore di tremila euro, sarebbe stato Antonino Pirrotta. Giordano lo ha indicato come il principale referende del mercato clandestino degli alloggi. Uno dei sistemi utilizzati era di usare come prestanome un assegnatario, che una volta ottenuta la casa la lasciava ai mafiosi, i quali poi la vendevano a famiglie senza tetto.



