Ha avuto inizio questa mattina a Palermo, in Corte d’Appello, l’arringa difensiva dell’avvocato Giuseppe Di Peri, legale di Marcello Dell’Utri. Si tratta di una delle ultime fasi di una vicenda giudiziaria lunga e tortuosa, in cui non sono mancati colpi di scena, attacchi al vetriolo da parte degli imputati nei confronti della pubblica accusa e un risalto mediatico eccezionale, per cui il lungo processo che vede accusato il senatore del Pdl di aver intrattenuto rapporti con Cosa Nostra è entrato di diritto nel dibattito politico italiano degli ultimi quindici anni. L’arringa di Di Peri ha toccato alcuni punti fondamentali riguardanti i capi d’imputazione e le prove che nel corso del dibattimento sono state illustrate. In primis la questione del rapporto di amicizia con Silvio Berlusconi, “mai messo in discussione”, neanche nel momento in cui Dell’Utri lascia Edilnord per passare ad una collaborazione con l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda. La stima e il solido legame tra i due è, secondo Di Peri, supportato dalla rinuncia di Dell’Utri a ricandidarsi “proprio per l’affetto e l’amicizia che lo legano al Cavaliere”. In secondo luogo il legale ha definito “risibile” l’ipotesi secondo cui Dell’Utri avrebbe fatto carriera nel gruppo Fininvest grazie ai suoi rapporti con Cosa Nostra, stigmatizzando il tentativo di coinvolgere il gruppo nel processo. In ultimo, una battuta della difesa rispetto all’operato della pubblica accusa in primo grado, secondo Di Peri rea di aver tentato in tutti i modi la spettacolarizzazione del processo.
Caso Dell’Utri, cronistoria. Il primo approdo del processo Dell’Utri è costituito dalla sentenza di primo grado del Tribunale di Palermo dell’11 dicembre 2004 che condanna Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa a nove anni di reclusione e all’interdizione in modo perpetuo dai pubblici uffici e obbligato a risarcire le parti civili. La sentenza è molto articolata e descrive in modo meticoloso l’intreccio di rapporti tra il Senatore, elementi di spicco di Cosa Nostra (Bontate, Riina) e diversi esponenti del mondo imprenditoriale e finanziario italiano. Emerge il ruolo di Dell’Utri quale “intermediario” tra l’ambiente mafioso e l’imprenditoria. Viene illustrato, in particolar modo, il rapporto che intercorreva tra Silvio Berlusconi e Dell’Utri. Una mediazione che passa anche attraverso alcuni fatti: come l’assunzione dello stalliere Vittorio Mangano, boss palermitano di Cosa Nostra, presso la residenza di Arcore del Cavaliere. Berlusconi, si legge nella sentenza, era infatti preoccupato dell’escalation di sequestri nel milanese e temeva quindi ritorsioni da parte della mafia nei confronti dei suoi familiari; cerca,perciò, tramite l’amico, di ottenere una protezione personale. Il 29 giugno 2010, dopo cinque giorni di Camera di Consiglio, giunge la sentenza di Appello. Il pg Antonino Gatto aveva chiesto per Dell’Utri la condanna a 11 anni. La Corte d’Appello, presieduta da Claudio Dall’Acqua, condanna a sette anni di carcere l’imputato per concorso esterno in associazione mafiosa per i fatti accaduti sino al 1992. Una conferma parziale, quindi, della condanna di primo grado, ma per un periodo di tempo delimitato e che viene ritenuto certo sino alla stagione delle stragi. Per il periodo successivo, la Corte d’Appello ritiene che il fatto non sussista. Viene confermato il ruolo di intermediazione svolto da Dell’Utri tra le cosche e Silvio Berlusconi, in particolare per quel che riguarda la vicenda Mangano. Oltre questo, viene ribadito analogo ruolo per quel che concerne Stefano Bontade ed alcune aziende del nord italia che aiutarono il malavitoso a riciclare denaro sporco.
Dall’Appello alla Cassazione. Ad avvelenare il clima del dibattimento, alcune dichiarazioni di Dell’Utri che destarono indignazione. Il senatore, infatti, dichiarò di esser entrato in politica per difendersi dai processi che lo vedevano coinvolto. Il 4 gennaio 2011 il pg Gatto deposita ricorso in Cassazione in merito all’assoluzione per i fatti successivi al 1992. Il 9 marzo 2012 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ritiene inammissibile il ricorso del pg Gatto e annulla con rinvio la sentenza d’appello, accogliendo il ricorso della difesa, la quale aveva contestato la condanna a sette anni. Le motivazioni della Cassazione, esposte in 146 pagine, si basano su alcuni punti fondamentali: secondo la Corte, infatti, non è stato dimostrato con sufficiente chiarezza il motivo per cui a Dell’Utri viene addebitato il reato di concorso esterno anche nel periodo in cui non agisce più nel raggio del gruppo Fininvest, ovvero quando è alle dipendenze dell’imprenditore Rapisarda (tra il 1977 e il 1982). Secondo la Cassazione, infatti, vi è un vuoto che la Corte d’Appello deve colmare affinché la condanna possa considerarsi valida. Inoltre viene contestato l’utilizzo, come prova, della presunta estorsione di Dell’Utri all’imprenditore Garaffa, titolare di una squadra di basket: la vicenda giudiziaria non è infatti ancora conclusa, e quindi non è possibile considerarla valida ai fini del processo.
Le conferme e il procedimento attuale. Di contro, però, vi sono numerose conferme rispetto alle precedenti sentenze: i rapporti solidi tra l’imputato e Cosa Nostra, il suo ruolo di intermediazione tra le cosche e Berlusconi, l’incontro tra l’imprenditore e i capimafia Di Carlo, Bontate e Teresi a Milano avvenuto nel 1974 tramite, appunto, Dell’Utri. Il ruolo del senatore nell’assunzione del boss Mangano ad Arcore e la stessa vicenda Garaffa che, seppur non utilizzabile in sede processuale come prova, è indice di come Dell’Utri, ancora agli inizi degli anni novanta – secondo i magistrati – intrattenesse rapporti con gli ambienti di Cosa Nostra per questioni di interesse patrimoniale. Il 18 gennaio 2013 il pg di Palermo, Luigi Patronaggio, chiede alla Corte d’Appello sette anni di carcere per Dell’Utri. Il senatore è stato inoltre rinviato a giudizio solo pochi giorni fa nel processo riguardante la “trattativa stato – mafia” in corso a Palermo.



