Pignataro Maggiore: l’arresto di Manna fa riesplodere il caso dei beni confiscati

L’arresto del presidente dell’Associazione
“Acli Terra Campania per la legalità” di Benevento, il pignatarese
Gaetano Manna, accusato in concorso con altri di associazione per delinquere,
concussione e falso dalla Procura della Repubblica di Santa Maria
Capua Vetere (pm dott. Donato Ceglie), fa
emergere ancora di più lo scandalo dei
beni confiscati alla camorra a Pignataro Maggiore e
affidati a persone e organizzazioni
evidentemente non idonee per il delicato compito. Il sodalizio impegnato
nella fabbrica di falsi diplomi di formazione professionale per alimentaristi,
infatti, aveva come sede i beni confiscati del fascicolo
“Vincenzo Simonelli più 3” (cosca Nuvoletta-Lubrano) e l’annessa
scuola rurale Quattro Porte, quest’ultima concessa
in comodato gratuito a Gaetano Manna dall’Amministrazione comunale di
Pignataro Maggiore, nonostante non si trattasse di un bene confiscato.
Ma, evidentemente, all’epoca erano ottimi i rapporti tra Manna e l’Amministrazione
comunale pignatarese.

Quello che qui interessa, in particolare, cioè
lo scandalo dei beni confiscati utilizzati per operazioni non certo
di recupero sociale e di affermazione della legalità, prende le mosse
tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003 quando la dirigenza nazionale
dell’Agenzia del Demanio decise di assegnare i beni confiscati del fascicolo
“Vincenzo Simonelli più 3” a Gaetano Manna, nonostante vi fosse
a suo carico un rapporto dei carabinieri che gli attribuiva contatti
con il boss della camorra Raffaele Ligato.
In un primo momento, il sindaco di Pignataro Maggiore, Giorgio Magliocca,
si oppose alla concessione dei beni confiscati a Gaetano Manna ma poi
firmò la convenzione con il presidente delle Acli Terra e inoltre concesse
pure la utilizzazione della scuola Quattro Porte. Nel frattempo
– tra il secco no e la convinta adesione
di Magliocca ai progetti delle Acli Terra
– nelle redazioni dei quotidiani casertani circolava la voce secondo
la quale un certo Gaetano Manna di Pignataro Maggiore aveva presentato
una denuncia, senza mai fornire però
la copia della presunta iniziativa in sede
giudiziaria, contro il sindaco Giorgio Magliocca, accusandolo di aver
avuto una cena elettorale con il boss
mafioso Lello Lubrano al ristorante
“Ebla” di Triflisco, nel territorio del Comune di Bellona, durante
la campagna elettorale per le amministrative di Pignataro Maggiore del
maggio 2002.

Va detto che il sindaco Giorgio Magliocca ha sempre negato
l’incontro con il camorrista Lubrano e anzi ha presentato valanghe di
querele, con relative richieste di danni, contro chi ha dato credito
a quella voce additata dal sindaco
come falsa e diffamatoria. Comunque sia andata, Magliocca cambiò
idea su Manna, arrivando addirittura a difenderne l’operato a fronte
di una richiesta di informazioni della prefettura di Caserta.
Il “caso Manna” esplose in maniera fragorosa, ma senza conseguenze
per la sua attività sui beni confiscati, nella primavera del 2006,
quando il discusso presidente delle Acli Terra annunciò
a mezzo stampa, il 28 marzo 2006, di voler avviare una collaborazione
con la società del disastroso progetto della piattaforma per i rifiuti
industriali tossici e nocivi. Ma la società
della piattaforma, a seguito di alcune investigazioni giornalistiche
del giornalista Enzo Palmesano, era nella bufera essendo emerso che
della “Piattaforma spa” facevano parte soggetti colpiti da interdittiva
antimafia per rapporti con colletti bianchi orbitanti nelle cointeressenze
del clan Nuvoletta. E a dare ragione alle denunce di Enzo Palmesano
arrivò, il successivo 5 maggio 2006,
una decisione del prefetto Corrado Catenacci (commissario straordinario
per l’emergenza rifiuti) che bloccò
il progetto della piattaforma dei rifiuti ai sensi della normativa
antimafia. Incredibile a dirsi: la potente
“Piattaforma spa” fu bloccata, ma nulla si
poté contro Gaetano Manna e la sua associazione
“per la legalità”.

Di quali protezioni politiche e istituzionali
poteva godere quello stesso Gaetano Manna ora arrestato? La risposta
è, appunto, nella politica. Il prefetto di Caserta in carica in quella
primavera del 2006, la dottoressa Maria Elena
Stasi, di fronte alle incalzanti denunce del giornalista Enzo Palmesano,
chiese informazioni al sindaco di Pignataro Maggiore,
Giorgio Magliocca, sulla inquietante vicenda dell’annunciata collaborazione
di Manna – cui erano stati affidati beni confiscati al clan Nuvoletta
– con il progetto della piattaforma poi bloccato per
il rischio di condizionamento della
cosca Nuvoletta. Le date sono importanti. Il 31 marzo 2006 Enzo Palmesano
denuncia i fatti alla prefettura di Caserta, oltre
che alla magistratura; il 5 maggio 2006 il prefetto Catenacci (commissario
straordinario per l’emergenza rifiuti)
blocca il progetto della piattaforma dei rifiuti industriali tossici
e nocivi; il 26 luglio 2006 il prefetto di Caserta, Stasi
– una volta acquisite evidentemente,
le valutazioni del sindaco Magliocca
–, risponde al giornalista Palmesano con queste precise parole,
“assolvendo” Gaetano Manna: “In esito all’esposto della S. V.,
datato 31 marzo 2006, si comunica che da accertamenti esperiti
è emerso che i beni confiscati in questione, come assicurato dal sindaco
di Pignataro Maggiore, sono utilizzati esclusivamente per le finalità
di cui al provvedimento n. 44704 del 16.12.2002 dell’Agenzia del Demanio
di Roma”. Successivamente, come è
noto, il sindaco Magliocca e il suo gruppo di potere hanno cambiato
cavallo e si sono legati fortemente al consorzio di cooperative sociali
“Icaro”, cui erano stati affidati altri beni confiscati; di conseguenza
Magliocca ha tentato di prendere le distanze da Manna.

Tuttavia affermazioni
come quelle contenute nella citata lettera del prefetto Stasi del 26
luglio 2006, riguardanti valutazioni pro-Manna del sindaco Giorgio Magliocca,
sarebbero meritevoli di accertamenti da parte della magistratura e del
ministero dell’Interno e anche da parte dell’attuale prefetto di Caserta,
dott. Ezio Monaco.