Politici senza gloria. L’assurda sindrome dei faraoni e il ponte che è un bluff di poker

Ponte sullo stretto di messina rendering

Che devo dirvi, a me questa sindrome del faraone preoccupa.

Tranquilli, non si tratta di un virus proveniente dall’Egitto grazie alle navi che scaricano clandestini sui moli italiani. Ma della tendenza ossessiva a misurare i governanti attraverso la loro capacità di realizzare opere immense. Di lasciare cioè sul proprio passaggio piramidi, cattedrali e monumenti. Il più possibili spettacolari e colossali.

È una sindrome che colpisce sindaci, presidenti di regione e soprattutto ministri delle infrastrutture.

Stateci attenti, si è affermata un’idea del valore degli uomini e delle donne di Stato proporzionale alla grandiosità delle opere che essi battezzano o impongono di fare. Non succede ormai più di ascoltare governanti che si propongano di affidare la propria memoria a qualcosa di diverso.

Per esempio, pensando a una regione, che vogliano passare alla storia per avere garantito la gentilezza del personale degli ospedali, o avere imposto l’abolizione del “tu” ai degenti anziani, ormai trattati con i toni affettuosi che si riservano ai cagnolini incapaci di intendere e di volere.

Oppure, riferendoci ai comuni, che promettano la fine (vera) degli appalti al massimo ribasso e il conseguente rifacimento dei marciapiedi a gobbe che infestano le città, eredità degli appalti alle ditte ‘ndranghetiste.

O ancora, riferendoci al Paese nel suo insieme, per avere ottenuto durante il proprio mandato il raddoppio dei libri letti ogni anno dalla popolazione.

Pensate a come sarebbe bello. Il presidente della Lombardia (o della Calabria, in fondo sono gemellate) lancia l’operazione gentilezza, con lo slogan “la vita è un sorriso”. O il presidente del Piemonte promuove la campagna dignità per gli anziani in ospedale. E magari il presidente della Sicilia vieta la vendita dei gadget filomafiosi condannando i trasgressori a mettere in vetrina i libri di Falcone. O pensate a quel sindaco che lanci l’obiettivo del raddoppio delle case popolari, con parallela cacciata dalle stesse dei clan che le occupano manu militari. Stanno qui le radici della gloria e soprattutto della gratitudine popolare.

Non vi verrebbe voglia di iscrivervi in un immaginario registro dei loro sostenitori?

La nostra vita è fatta in fondo soprattutto di beni materiali che magari non fanno strabuzzare gli occhi per la meraviglia ma ci aiutano a vivere dignitosamente. Un letto spazioso, delle scarpe comode, un golf morbido. Non stanze con i muri interattivi e altri effetti speciali.

Ed è fatta anche di beni immateriali. La gentilezza, appunto, con quel misterioso senso di felicità che si porta dietro. Ma anche -perché no?- la sicurezza. O la puntualità dei treni, per la serenità dei nostri programmi quotidiani. E potremmo continuare a lungo questo elenco di cose desiderabili, che regalerebbe fama e riconoscenza a chi fosse capace di assicurarne alcune.

E invece…e invece i governanti, anziché esserne affascinati, sembrano sempre più posseduti dalla sindrome del faraone. La cupola più grande d’Europa. Il treno più veloce del mondo. Gli impianti sportivi più costosi. Miliardi e miliardi per clientele fameliche.

E soprattutto (ed eccoci al cuore della sindrome…), il ponte da poker, quello che sfida le leggi della fisica e della geologia. Il più grande di tutti. Degno dei faraoni egizi, le cui opere però riposavano sulla terraferma e sulle scienze esatte, delle quali essi erano seguaci scrupolosi.

Insomma: il ponte sullo stretto di Messina. Il ponte per definizione. L’oggetto che dividerà la storia della civiltà in due: A.P. (Ante Pontem) e P.P. (Post Pontem), come con Cristo.

Suggello di un’epoca in cui il governante che ambisce alla fama non la cerca più nelle proprie idee, nella magnanimità o nel senso civico che fa grandi gli Stati. Ma nei metri cubi. Solo che i faraoni, oltre le piramidi, promuovevano gli studi delle stelle, la medicina e la scrittura. Ma questo bisogna saperlo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 03/11/2025