Ha voluto metterci il nome. Stavolta quello vero. Della sua storia avevamo scritto, celando la sua identità dietro uno pseudonimo. Un nome vuol dire tante cose, in questo caso la firma di Riccardo Cordì, su una lettera pubblicata stamattina dal “Corriere della Sera”, vuol dire coraggio. No, non è l’audacia degli eroi, quello di Riccardo è il coraggio di chi vuole riprendere in mano la propria vita e riscriverla. Dopo aver terminato il suo percorso con la giustizia, questo ragazzo, di appena diciotto anni, ha deciso di scrivere ad un quotidiano nazionale per raccontare come è cambiata la sua vita. Giorno dopo giorno, ha scoperto che, senza accorgersene, stava camminando su una strada nuova. E ha sentito dentro di sé che in quei nuovi abiti si stava comodo. Riccardo è uno dei ragazzi protagonisti di una rivoluzione silenziosa avvenuta nel Tribunale dei Minori di Reggio Calabria su iniziativa del giudice Roberto Di Bella. L’abbiamo raccontato pochi mesi fa in un’inchiesta. Di questa linea senza precedenti – che si consolida in un progetto dal titolo Liberi di Scegliere presentato al ministero della Giustizia – la storia di Riccardo è emblematica. Lasciare la sua terra non fu facile, è lui stesso a scriverlo. Ma in Sicilia qualcuno si è preso cura di lui e quel qualcuno era lo Stato. In una lettera i volontari di AddioPizzo Messina spiegano: «Riccardo venne affidato all’Ufficio Servizi Sociali Minorili di Messina con cui la nostra associazione ha siglato un protocollo operativo. Insieme ci siamo trovati a lavorare con un minore appartenente ad una famiglia di ‘ndrangheta. Era la prima volta che la nostra associazione si occupava di un caso del genere. In questa storia, la vera forza è stata il lavoro di squadra fatto con i magistrati, i servizi sociali e i volontari di Addiopizzo Messina. Durante i primi incontri con l’operatore, Riccardo stava quasi sempre zitto, ma il suo non era il silenzio di chi non voleva parlare, piuttosto il silenzio di chi non sapeva parlare. In certi luoghi le cose accadano o vengono imposte. Nei giorni trascorsi insieme, Riccardo ha dovuto chiedersi se il potere coincide con la libertà. Non sappiamo quale sia la risposta che ha dato, non gli abbiamo chiesto di rinnegare la sua famiglia. Non l’ha fatto, non è stato necessario. Non gli abbiamo imposto di scegliere di stare da una parte o dall’altra, abbiamo solo cercato di farlo tornare protagonista della sua vita. E forse, per qualche istante, ci siamo riusciti». La dimostrazione che il lavoro fatto ha avuto i suoi frutti è la volontà che Riccardo ha manifestato quando la “messa alla prova” è terminata. Quando è tornato a casa sua a Locri, piuttosto che cambiare numero di telefono e chiudere la porta in faccia alla giustizia, ha deciso di scrivere pubblicamente il suo grazie allo Stato. Uno Stato fatto di persone.
DALLE MADRI AI FIGLI. SE LA ‘NDRANGHETA PERDE I SUOI SOLDATI – LEGGI L’INCHIESTA
Quella di Riccardo non è una storia singola. Intorno a lui c’era e c’è un gruppo persone che hanno fatto di questa vicenda l’essenza del proprio lavoro. Persone, come lo psicologo di AddioPizzo Messina Enrico Intedonato e l’assistente sociale dell’Ussm Maria Baronello, che dall’arrivo di Riccardo si sono fatte travolgere: grazie a lui hanno ritrovato la determinazione indispensabile a realizzare le imprese impossibili. Davanti alla lettera di Riccardo, questa mattina, la loro emozione non ha parole. Prova a spiegare Enrico Interdonato: «Sono felice perché quella di Riccardo è la storia di un ragazzo che si riprende la sua vita. La bellezza della sua età è tornata a rifiorire. Il lavoro fatto insieme a Maria Baronello non era fatto di parole né di teorie. Abbiamo cercato di essere testimoni attendibili di uno stile di vita convincente. Uno stile di vita che Riccardo adesso può scegliere».
Uno stile di vita che Riccardo in parte ha già scelto “semplicemente” scrivendo il suo nome sotto quella lettera. La strada adesso è lunga, lui lo sa. E sa anche che la strada è sterrata. Ma questo non lo spaventa.



