Altro che contro-narrazione, in grado di scalfire la presunta egemonia della sinistra nelle vicende culturali e in quelle del servizio pubblico radiotelevisivo. La destra sta contribuendo -purtroppo con qualche successo- a sfasciare la Rai. Se è vero che la televisione generalista sta percorrendo il suo (inesorabile, in verità) viale del tramonto, è sempre attuale il richiamo di Beckett al fatto che si può fallire meglio.
Insomma, l’azienda pubblica potrebbe e dovrebbe gestire altrimenti la sua transizione verso un modello post-mediale in grado di declinarsi con gli alfabeti dell’intelligenza artificiale. In un mondo iperveloce presagito con capacità rabdomantica da Paul Virilio il vecchio apparato di viale Mazzini di Roma (la direzione generale, ora chiusa per l’amianto) andrebbe rivoltato come un calzino. Servirebbero volti nuovi e, soprattutto, idee nuove.
Invece, peggiorando in modo esponenziale i difetti annosi che si trascinano da anni e in particolare da quando per concorrere la Rai si è assimilata allo spirito commerciale della Fininvest-Mediaset, ecco che gli odierni palinsesti sprizzano effluvi preagonici.E, quindi, perché meravigliarsi se i dati di ascolto sono da allarme rosso? Già, a parte un risicato vantaggio nel cosiddetto daytime (27,99% di share contro il 27,52% delle reti del biscione, secondo i dati offerti dal serio Studio Frasi), nella prima serata c’è il crollo: (28,29 vs 30,34).
Sarà per il traino della Ruota della fortuna rispetto al discutibile Affari tuoi (dove si vincono denari grazie alla dea fortuna), sarà per veri e propri tonfi, sarà -in particolare- per l’insostenibile pesantezza del Tg1. Parliamone un attimo. Il telegiornale della prima rete ha quasi sempre mantenuto una cifra elevata, più forte persino di una certa accondiscendenza al governo in carica. Ma una roba come Telemeloni mai. Non si dà una interminabile filastrocca della presidente del consiglio e dei suoi orchestrali, prima e dopo le obbligate notizie del giorno. Su Gaza, sulla Flottilla, sull’Ucraina si è rinverdita la tradizione del panino, ovvero la costrizione delle voci in dissenso dentro l’armatura dell’uno-due di governo e maggioranza.
Così, si perdono ascolti, per il combinato disposto della crisi del palinsesto rigido nell’età dei social e della trasformazione di una voce faziosa magari ma autorevole in megafono. La buon’anima di Emilio Fede forse applaude compiaciuto dall’aldilà, visto che pare avere introdotto un genere. Poi ci sono storiacce obbrobriose come ciò che è successo a Uno Mattina in Famiglia sulla riconoscibilità dell’abito sessuale, ovvero la fuga di diversi cervelli televisivi.
Si aggiunge, per toccare il fondo, il rinvio della messa in onda del bellissimo film No Other Land, giusto per non disturbare il manovratore filo-israeliano. Come si vede, la soggezione politica fa del male e la magia del rapporto con il pubblico svanisce. Anche il sabato sera, antica cittadella della Rai, perde colpi.
Non solo. La legge del 2015 sulla governance è stata dichiarata illegittima dall’articolo 5 dell’European Media Freedom Act e la proposta in corso d’opera della maggioranza è solo un maquillage. Con autorevoli firme di costituzionaliste e costituzionalisti (Michela Manetti, Giulio Enea Vigevani, Alessandra Valastro, Gianluca Gardini, Giovanna De Minico e Roberto Zaccaria) un efficace documento stigmatizza il tutto. Il rischio, dunque, è che il servizio pubblico vaghi in un lungo purgatorio.
Le forze di opposizione hanno denunciato i rischi che si corrono. Non dimentichiamo che l’articolo21 della Costituzione viene stravolto.
Fonte: il manifesto



