Anche se non sono mancate prese di posizione, dichiarazioni e documenti da parte di alcune chiese locali e qualche vescovo, il tema del voto referendario, con i quesiti relativi, è stato pressoché glissato dagli ambienti ecclesiastici.
Il messaggio che sembra passare è che alla chiesa non importano granché le condizioni e i diritti dei lavoratori. Quasi che questi non fossero temi eticamente sensibili.
La paura di prendere posizione e di essere strumentalizzati ha paralizzato la profezia o, più semplicemente, la testimonianza e il servizio cui le chiese sono chiamate. Di fatto – volente o nolente – così è finita per schierarsi dalla parte del non-voto e ha prestato il fianco a una delle sue opzioni prevalenti.
Non è sempre stato così: li ricordiamo tutti i quesiti sui quali, nel corso della storia repubblicana, la Chiesa ha impegnato tutta sé stessa così come quelli in cui ha invitato esplicitamente all’astensione.
Arrivare ad avere paura della propria ombra e tacere è peccato! Si chiama omissione.
Per questo considero il silenzio delle curie e dei vescovi sui referendum un’occasione persa per dire la vicinanza (maternità) a figlie e ai figli che per la maggior parte sono lavoratrici e lavoratori. Ammoniva don Tonino Bello: “Ricordiamoci che delle nostre parole dobbiamo rendere conto agli uomini. Ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio!”.



