Se si scrutano con certosina pazienza i dati resi dallo storico Osservatorio di Pavia sulla copertura radiotelevisiva dei referendum, forse si potrebbe trarne qualche auspicio favorevole. Intendiamoci. Siamo a livelli percentuali solo appena più alti di quelli in precedenza pubblicati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (9 aprile-10 maggio 2025).
Qualcosa, insomma è migliorato. Pochissimo, però. Ma davvero un’inezia, anche se la collocazione negli ultimi giorni sulla Rete 1 del servizio pubblico delle tribune certamente si è rivelato utile. Vanno persino decorosamente in generale proprio le tribune, che potrebbero -se ripensate adeguatamente- riacquisire ruolo e centralità.
In fondo, non sono teoricamente contenitori così diversi dai talk. Basterebbe riscriverne struttura e sintassi. Si manterrebbe la par condicio, ma attraverso un filo di discorso narrativo e legato all’attualità. Da anni lo si propone, ma scalfire gli apparati consolidati è arduo.
Del resto, la Rai difficilmente ragiona nei termini di un’azienda competitiva, lasciando ormai – con l’eccezione di Report, Presa Diretta, Il cavallo e la torre, Petrolio e poco più – all’universo privato le trasmissioni di maggiore coinvolgimento emozionale.
Se qualche cifra migliora, la sostanza rimane negativa. Ciò che è mancato clamorosamente è l’approfondimento sui temi evocati dai cinque quesiti referendari.
In tale consultazione ha maggiore importanza la spiegazione dei testi, liberandoli dall’inevitabile stile leguleio e burocratico di cui sono permeati. Si sente la mancanza di quell’opera di divulgazione che pure nei palinsesti qua e là si rintraccia. Se è vero che i referendum costituiscono un potere previsto e sancito dalla Costituzione repubblicana, il dibattito pubblico richiede un impegno particolare.
Mancano poche ore al voto dell’8 e 9 giugno, è vero. Ma la fantasia e la creatività – quando si vuole – salvano anche le situazioni compromesse. Perché non dedicare una rilevante parte della programmazione di domani e venerdì ai referendum? Una maratona utile a fornire strumenti cognitivi alle cittadine e ai cittadini. Altrimenti, i confronti sembrano atti dovuti, buoni solo per non prendere multe salate dall’Agcom. La moral suasion riguarda pure le emittenti private, persino meno attente della Rai.
Quanto ai dati, non è lecito che le percentuali e i minutaggi sulle coperture referendarie non abbiano una cadenza regolare e tempestiva. Senza i dati aggiornati viene meno il diritto di critica e di proposta. Nelle ultime giornate si sono esibite personalità del governo e delle istituzioni, a cominciare da Giorgia Meloni, sulle diverse sfumature del non voto.
A parte il grottesco della battuta infelice sull’andata al seggio senza ritirare le schede, c’è da sottolineare che il voto è un dovere, soprattutto per chi ha una collocazione di potere e rappresenta quote di società. Astensionismi, fuga dalle urne e qualunquismi sono iniettati dall’alto, secondo una tendenza reazionaria in corso e cui non sfugge l’Italia.
Per aggiungere un’ulteriore proposta: si rendano note le tabelle sia dell’Agcom sia dell’Osservatorio di Pavia. Già oggi. Altrimenti è troppo tardi. Infine, in base alle stesse disposizioni dell’Autorità, si vigili sul comportamento dei social e degli influencer. Oltre che sul silenzio elettorale. L’articolo 10 della legge 28 del febbraio 2000 (par condicio) attribuisce facoltà di intervento diretto all’Agcom.
Ci si attende un’azione coerente con le sue medesime dichiarazioni impegnative da parte del presidente Giacomo Lasorella.
E, analogamente, si auspica una presa di posizione da parte della stessa presidente della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai Barbara Floridia.
Attenzione. Inerzia e silenzio sono colpevoli e non c’è indulgenza plenaria che tenga.
Fonte: il manifesto



