Ricordare Siani significa dare valore alla verità

Giancarlo Siani

Dieci colpi esplosi da due pistole semiautomatiche calibro 7,65 uccisero, mentre stava rientrando a casa, in via Vincenzo Romaniello, nel quartiere napoletano dell’Arenella, alla guida della sua autovettura Citroen con capote in tela, il cronista giudiziario del quotidiano “Il Mattino” di Napoli Giancarlo Siani. Era il 23 settembre 1985 e da quattro giorni aveva compiuto ventisei anni.

Vittima della barbarie mafiosa, il giovane giornalista faceva bene il suo lavoro. Aveva denunciato i legami tra personaggi politici, delle istituzioni e camorristi di Torre Annunziata, le dinamiche di un sistema criminale che, dopo il terremoto del 23 novembre 1980, si stava evolvendo nella direzione di un sistema di potere economico imprenditoriale.

Le indagini immediate non avevano dato esito e soltanto il 27 agosto 1993 il collaboratore di giustizia Salvatore Migliorino fornì lo spunto per comprendere la matrice mafiosa di quell’uccisione. Il contesto ambientale in cui si verificò era caratterizzato dal dominio dei gruppi camorristici, tra loro collegati, facenti capo a Lorenzo Nuvoletta di Marano e a Valentino Gionta di Torre Annunziata, e dall’adesione dei Nuvoletta alla mafia dei corleonesi di Salvatore Riina, che si era estesa ai giontiani. Un ruolo determinante aveva svolto nell’affiliazione il fratello minore di Lorenzo, Angelo Nuvoletta, il quale, nella primavera del 1984, aveva presieduto assieme a Luigi Baccante alla cerimonia di affiliazione all’organizzazione mafiosa siciliana di Salvatore Migliorino e di Gabriele Donnarumma.

In questo contesto Giancarlo Siani aveva scritto un articolo, che aveva segnato la sua condanna a morte, pubblicato su “Il Mattino” il 10 giugno 1985, titolato “Camorra: gli equilibri del dopo Gionta”, riferito all’arresto di Francesco Vasto e Valentino Gionta, avvenuto due giorni prima nella tenuta di Marano dei Nuvoletta, a poco meno di un anno dalla strage di Sant’Alessandro che, il 26 agosto 1984, aveva decimato gli uomini dei Gionta, uccidendo otto persone e ferendone altre sette.

Siani avanzava l’ipotesi che il fatto si inquadrasse nello scontro in atto tra il clan Nuvoletta e quello Bardellino: Valentino Gionta, “personaggio scomodo anche per gli stessi alleati”, sarebbe stato eliminato dalla scena quale prezzo che Nuvoletta avrebbe dovuto pagare a Bardellino per un accordo relativo “ad una nuova distribuzione dei grossi interessi economici nell’area vesuviana”.

Tale ipotesi, infamante per i Nuvoletta, era stata il motivo scatenante della decisione omicida del giornalista riconducibile a Lorenzo Nuvoletta (poi deceduto) e ad Angelo Nuvoletta. È stata ritenuta dai giudici come un tradimento attuato dai Nuvoletta ai danni dei Gionta e un oltraggio ai primi, accusati di un comportamento contrario alle regole di vita camorristica.

Il percorso giudiziario compiuto per accertare il movente e individuare i responsabili dell’omicidio di Siani ha trovato il suo snodo fondamentale nella sentenza della I sezione penale della Corte di Cassazione del 13 ottobre 2000 (la cui motivazione è stata depositata in cancelleria il 30 novembre 2000).

Sono stati condannati Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante, come mandanti; il collaboratore di giustizia Gabriele Donnarumma; Ciro Cappuccio e Armando Del Core quali esecutori materiali; Gaetano Iacolare (nipote di Angelo Nuvoletta) come autista del commando che ha operato. La condanna di Valentino Gionta, annullata dalla Corte di Cassazione, a seguito di successivo giudizio di rinvio, veniva convertita in assoluzione. Con separato giudizio, dopo alterni verdetti, è stato assolto anche Ferdinando Cataldo.

Sono trascorsi quarant’anni da quel delitto e su tutti noi incombe il dovere di ricordare la sua tragica fine per la fedeltà alla verità dimostrata dal cronista napoletano – un valore che alcuni settori dell’informazione non riescono a metabolizzare, essendo permeati da propositi di riscrittura del nostro passato – e per la sofferenza dei suoi familiari.

Il suo impegno e la sua sorte sono lì a ricordarci quanto l’informazione basata sulla verità sia temuta dalla camorra e dalle altre strutture criminali organizzate perché ostacola la loro azione, consente di conoscere la loro presenza, il loro agire e di tenere viva l’attenzione, di sensibilizzare l’opinione pubblica e gli appartenenti alle istituzioni sulla loro pericolosità, di sgretolare il consenso sociale sul quale contano e che mirano a rafforzare.

L’informazione costituisce uno dei fondamenti dei paesi autenticamente democratici perché i cittadini per scegliere devono sapere e conoscere i fatti.

* Procuratore della Repubblica di Prato

Fonte: Il Fatto Quotidiano