Stato e anti-Stato. Il “povero” Cutolo e i volantini degli anni di piombo

Asinara panorama scaled

“Ma com’era possibile?”. Me lo chiesero increduli alcuni studenti lo scorso 19 marzo. Era l’anniversario dell’assassinio di Guido Galli, magistrato docente all’università Statale di Milano, “giustiziato” nel 1980 dai terroristi mentre entrava in aula a far lezione. Com’era possibile che uccidessero delle brave persone?

È già terribile uccidere. Ma come si fa poi a scegliere per vittime persone come Galli? O Emilio Alessandrini, il giudice che batté per primo la pista neofascista con Piazza Fontana? O l’operaio Guido Rossa? O Aldo Moro?

Per i giovani d’oggi è un mistero inafferrabile. A meno di non sapere entrare nella testa impazzita dei terroristi. Che tutto giustificavano con il ruolo “controrivoluzionario” dei prescelti. Con il loro mestiere, con la loro divisa. Bastava il ruolo per costruirci su un bel volantino di rivendicazione, pieno di calunnie e farneticazioni. Ed era fatta.

Ebbene, come si scegliesse la vittima l’ha dimostrato una lettera giunta al “Fatto” dopo la mia ultima puntata di “Storie italiane”. Nella quale ho raccontato di un ex sottufficiale degli allora “agenti di custodia” che durante il nostro seminario universitario all’Asinara ci ha raccontato la sua storia.

E parlando di Raffaele Cutolo ci ha detto che era “rispettoso”, e che aveva però imparato a esserlo “solo dopo che gli fu fatto capire che all’Asinara non avrebbe potuto comandare come a Poggioreale”.

È bastata questa frase per scatenare in un mio coetaneo (la generazione è quella, purtroppo) il raptus da volantino. E farlo accusare il sottoscritto di avere cantato l’elogio di un torturatore, tale essendo necessariamente chi fece capire a Cutolo che all’Asinara non avrebbe comandato come a Poggioreale. Chissà quante torture per riuscirci, chissà quante botte in quell’isola lontana. L’autore della lettera non ha dubbi. All’epoca, pur senza uccidere, ci avrebbe scritto una bella giustificazione. Ignorando tranquillamente la storia, essendone interprete autentico.

Pensate. Il “nostro” agente fu mandato all’Asinara a 26 anni. E si trovò davanti Cutolo. Il quale si era lasciato alle spalle una scia di direttori di carcere “suicidati”. Due, non uno solo. Gli avevano mancato di rispetto. A Poggioreale faceva quello che voleva. Quando ci fu il terremoto in Irpinia e i detenuti vennero fatti uscire per prudenza in cortile, sistemò i conti con la pistola con alcuni camorristi anticutoliani. Era il potere in carcere. Ancor più dopo avere ottenuto dalle Brigate Rosse il rilascio dell’assessore regionale rapito Ciro Cirillo, trattando per carceri con l’aiuto dei servizi segreti.

Per questo un noto “torturatore” come Sandro Pertini lo fece trasferire all’Asinara. Perché non potesse più comandare e ricattare. Che è quanto gli fecero capire sull’isola. “E chi lo toccava Cutolo?”, mi ha detto testualmente l’agente. “Sapevamo che cos’era successo ai due direttori”. Solo che non poteva più dare ordini. Perché gli agenti erano incorruttibili. E non si piegavano alle sue minacce. Di sicari sull’isola non ce n’erano né potevano arrivare, e nessun sardo avrebbe dato informazioni sulla vita privata degli agenti.

Per aver detto questo Gianmaria Deriu, uomo che faceva il suo dovere ma tutti rispettando (nel suo appartamento c’è una foto con l’ex capo brigatista Alberto Franceschini…) è diventato un torturatore. E il cenno alla musica di Leonard Cohen, la sua preferita, ha fatto scrivere all’autore della lettera che “anche Hitler era un amante della musica”.

I miei ricercatori ne hanno riso di gusto -“chissà come si è sentito colto quando ha fatto il paragone”- ma finalmente ho potuto far capire meglio loro perché accadeva. Perché si approvava. Come le vittime, prima di essere “giustiziate”, venissero trasformate in mostri. Fino alla rivendicazione.

Pensate un po’ come arrivano le lezioni di storia. Con una lettera che evoca tragedie. Anche se fa ridere all’ascolto.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 19/05/2025

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