Un pallone lungo in profondità, lo scatto di un ragazzo che supera tutti in velocità e si trova solo davanti al portiere.
Lo guarda, non ha fretta si tirare, sa che ha dalla sua il controllo della sfera e poi con freddezza da vero attaccante, calcia verso il punto più lontano dove l’estremo difensore avversario non può arrivare…
Goal e dopo che la palla ha superato la porta vedo correre verso quel ragazzo tutta la sua squadra, panchina compresa, sommergendo il compagno da un abbraccio forte, sentito, voluto, aspettato e sento tutta una tribuna, gridare un solo nome, il nome di chi quel goal non lo ha solo realizzato, ma lo ha sperato, voluto, sognato, per tanto tempo, per un viaggio lungo anni, tra peripezie e sofferenza…
No, non siamo in serie A, neanche in un campionato professionisti, siamo in un bel campo sintetico qui in Valdarno in una partita tra due squadre di giovanissimi per una partita di Coppa Toscana, ma per chi quel goal lo ha realizzato è la partita attesa da una vita…
Questo lo sanno i suoi compagni, il suo allenatore, i suoi dirigenti, i genitori dei compagni di squadra e per questo quel nome si grida forte, perché è il modo di partecipare a una gioia che è collettiva…
Quel ragazzo di 16 anni (non farò il suo nome e non metterò sue immagini), giunto in Valdarno dal Mali, arrivato dopo aver attraversato mezza Africa, il deserto, la Libia, aver attraversato il Mediterraneo, aver lasciato la povertà estrema della sua famiglia, ieri era alla sua prima partita ufficiale in un campionato.
Sogna da sempre di fare il calciatore ed ha aspettato per mesi che la federazione gioco calcio potesse tesserarlo, con i tempi che occorrono per avere il nulla osta dalla Comunità Europea, necessario per tesserare un giocatore extracomunitario.
Mesi di attesa e di allenamenti, ogni giorno, cercando di migliorarsi, anche da solo, perché il desiderio di essere pronto per quel momento era troppo forte.
In questi mesi i suoi compagni di squadra lo hanno accolto, amato, rincuorato quando la tristezza per non giocare prendeva il sopravvento, lo hanno sostenuto, lo hanno voluto con sé, amico tra gli amici.
Hanno intuito cosa lui aveva vissuto scappando dalla sua terra, in guerra, con un padre malato che non poteva lavorare, inseguendo il suo sogno.
Ci sono stati, così come c’è stata la sua società e i genitori degli altri compagni e quindi quella corsa ad abbracciarlo, era la gioia collettiva che si vive quando l’amore vince su tutto il resto e si ha la capacità di vivere emozioni e sentimenti.
È la purezza e la bellezza dei giovani, la sconfitta di ogni forma di razzismo, la capacità di vivere la diversità come una ricchezza.
Sanno che quel ragazzo, con il suo estro, la sua fantasia è un valore aggiunto per tutti loro, con la capacità di superare i confini mentali (molto più degli adulti che dei ragazzi) che lo sport aiuta a superare, perché in quel campo, in ogni sport la diversità sono sempre una ricchezza.
In quella squadra ci sono due giovani atleti di colore, un regista e un attaccante, un giocatore d’ordine e un giocatore veloce come il vento. Insieme a tanti altri bravi atleti fanno un bel gruppo che potrà dare a questa società belle soddisfazioni sportive.
Sono il tutore di questo giovane, tutore di un minore straniero non accompagnato. Ho dedicato tanti anni della mia vita al calcio, come atleta, come allenatore del settore giovanile, come dirigente delle squadre giovanili.
Ieri ero lì perché volevo partecipare con lui alla gioia della sua prima partita ufficiale. Averlo visto segnare dopo pochi minuti dal suo ingresso in campo e aver visto la scena di quella corsa di tutti i suoi compagni sommergerlo di abbracci mi ha commosso.
Mi ha fatto capire come la vita possa sempre offrire spunti di riscatto, momenti attesi per anni che poi trovano il suo compimento in pochi gesti.
Un tiro in porta lui, una corsa lungo il campo dei suoi compagni. In quei momenti non c’erano lui e loro, c’erano tutti loro uniti, felici, complici, che raggiungevano un obiettivo molto più importante di quel semplice goal.
Il riscatto di chi per anni ha avuto più mo enti di sofferenza che di felicità.
Immagino la gioia di quando questo ragazzo avrà telefonato ai suoi genitori in Mali per dirgli del suo esordio, di quel goal, della gioia provata.
Penso alla commozione di quel padre e quella madre quando avranno sentito la sua voce, avvertito la sua felicità.
Penso che noi adulti, nonni, che viviamo in situazioni di serenità, possiamo fare molto per questi ragazzi che raggiungono il nostro paese soli per i seguire un sogno.
Anche aiutarli a capire che non basta quel goal e inseguire il sogno di fare il calciatore (perché lo sport ha anche tante e diverse sfaccettature e tutto è così relativo e fugace), ma che occorre dare importanza allo studio, a prepararsi alla vita da adulto, pensare che la scuola è l’altra grande occasione che da noi si può avere per costruire il proprio futuro.
Lui tutto questo lo sa e lo insegue.
Ieri è stato bello esserci, averlo salutato alla fine della partita, esserci scambiati messaggi di gioia, e vedere che anche in quella squadra ha trovato una piccola famiglia e persone che gli vogliono bene…



