Il pensiero di alcuni costituzionalisti. Firma il loro appello.
Dallo scorso 8 agosto è definitivamente in vigore il Regolamento UE 2024/1083 sulla libertà dei media (European Media Freedom Act), che mira a «tutelare la libertà e il pluralismo dei media quali due dei pilastri principali della democrazia e dello Stato di diritto» e imporre agli Stati il rispetto del «diritto dei destinatari dei servizi di media di avere accesso a una pluralità di contenuti mediatici editorialmente indipendenti» (art. 3), ossia di essere informati in modo plurale e corretto.
In questo quadro, la normativa europea prevede anche una disposizione specifica, l’art. 5 del Regolamento, relativa ai media di servizio pubblico (quelli che un tempo si sarebbero chiamati «servizio pubblico radiotelevisivo»: in Italia, la nostra RAI), volta a rafforzare le garanzie di autonomia e a ridurre i rischi di ingerenze e condizionamenti politici nella governance o nella linea editoriale.
In particolare, si prevede che la nomina degli amministratori (che per la RAI sono il Consiglio di amministrazione, il Presidente, l’Amministratore delegato ed il Direttore generale) sia effettuata «in base a procedure trasparenti, aperte, efficaci e non discriminatorie e su criteri trasparenti, oggettivi, non discriminatori e proporzionati stabiliti in anticipo a livello nazionale» ; che la durata del mandato sia tale da garantire l’effettiva indipendenza del servizio pubblico; che la revoca prima della scadenza sia eccezionale e debitamente giustificata.
La disciplina vigente della RAI (contenuta negli artt. 59 e ss. del d.lgs n. 208/2021 c.d. Tusma), che contempla poteri decisivi del Governo e della sua maggioranza nell’organizzazione dell’azienda, è dunque oggi incompatibile con l’ordinamento europeo; a ciò si aggiunge il perdurante contrasto di tale disciplina con la Costituzione italiana, cui la Corte costituzionale – sin dalla sentenza n. 224 del 1975 – ha ricollegato l’obbligo di escludere l’ingerenza del Governo e della maggioranza dal servizio pubblico radiotelevisivo, in quanto quest’ultimo è destinato a rispecchiare il pluralismo politico e sociale.
Il Parlamento è chiamato dunque a ripensare ruolo e autonomia del servizio pubblico, rendendo la RAI una “istituzione di garanzia” del pluralismo e della cultura nazionale, contro l’egemonia delle piattaforme online globali e della loro logica commerciale.
Ora, alcune norme del testo base adottato il 17 settembre 2025 dalla VIII commissione permanente del Senato sembrano andare nella giusta direzione: ad esempio, l’estensione della durata del C.d.A. da tre a cinque anni rende tale organo più stabile e così meno soggetto alle influenze esterne; l’esclusione di un diretto ruolo del Governo nelle nomine sana una delle maggiori criticità della normativa attuale; la partecipazione al C.d.A. – pur senza diritto di voto – di un rappresentante designato dalla Conferenza Stato-Regioni e di uno indicato dall’ANCI costituisce una timidissima apertura verso una governance aperta al maggior numero di voci.
Altre norme, tuttavia, annullano l’effetto positivo di queste innovazioni: nel testo presentato, infatti, il C.d.A. è composto (oltre che da un rappresentante designato dall’assemblea dei dipendenti a tempo indeterminato della RAI) da tre membri eletti da ciascuna Camera, con la maggioranza dei due terzi nelle prime due votazioni e con la maggioranza assoluta dalla terza votazione in poi. Questa soluzione rischia di condurre, dopo la terza votazione, a una governance “monocolore”, escludendo per la prima volta dalla riforma del 1975 ogni voce diversa dal C.d.A. Rai.
E non si dica che l’abbassamento del quorum è indispensabile per evitare che la nomina del C.d.A. si blocchi, né si propongano a tal fine analogie con quanto avviene per l’elezione del Capo dello Stato a norma della Costituzione. Qui si parla non di un organo costituzionale, come il Presidente della Repubblica, la cui indipendenza dalle forze politiche è garantita da una vasta serie di tutele (come ad es. l’assegno e la dotazione, la speciale immunità penale). Al contrario, il C.d.A. Rai è un organo amministrativo – chiamato per definizione ad assumere decisioni che incidono quotidianamente sull’orientamento della RAI: in primo luogo quelle cruciali di nomina del Presidente e dell’Amministratore delegato – e l’unica garanzia di indipendenza della quale può essere dotato scaturisce dalle modalità di nomina e di revoca.
Per questo è indispensabile che le forze politiche dibattano finché riescano ad accordarsi su una serie di candidati autorevoli, che godano di un consenso più ampio di quello della sola maggioranza politica, ovvero che il quorum di garanzia dei due terzi rimanga inalterato. È quanto già accade nel nostro Paese per alcune autorità indipendenti. O meglio ancora, sarebbe necessario individuare un sistema di elezione che renda il C.d.A. Rai espressione dell’effettivo pluralismo presente nel Paese, coinvolgendo enti territoriali, associazioni e cittadini.
Resta che nel testo attuale, la riforma in itinere – rinunciando a tagliare il cordone ombelicale tra maggioranza governativa e RAI ma anzi rendendolo ancora più stretto – si espone ad una doppia incompatibilità: verso la Costituzione e verso l’Europa.
Michela Manetti, Università di Siena
Giulio Enea Vigevani, Università di Milano Bicocca
Alessandra Valastro, Università di Perugia
Gianluca Gardini, Università di Bologna
Giovanna De Minico, Università Federico II di Napoli
Roberto Zaccaria, Già Università di Firenze



