Com’erano belli i posteggiatori abusivi di una volta. Com’erano belli nei film di Totò e De Sica.
Disgraziati e squattrinati senza lavoro, con il problema di sfamare le creature. Con lampi di buon cuore, talora di signorile gentilezza. Ripensateci: qualche volta con le loro affabili maniere riuscivano perfino a piazzare il Colosseo a facoltosi turisti americani. E in ogni caso possedevano l’innata (e graditissima) virtù di garantire promozione sociale ai giovanotti o ai signori in vena di conquiste: “più avanti, dottò”, “ci penso io, dottò”.
Ecco, dimenticateveli. Ora dove sfaccendavano loro regna spesso una criminalità truce e impunita. Proprio lì? Massì. Anche per recuperare un po’ del terreno perduto altrove.
Per esempio questo “addio pizzo” che, come hanno rivelato alcune intercettazioni, trattiene i clan dal fare visita a qualcuno che ti potrebbe denunciare. O l’abitudine degli esercizi più ricchi di affidarsi a sicurezze private che sanno come fare. Oppure lo stesso diffuso ingresso delle organizzazioni mafiose nel commercio su strada, dai bar ai ristoranti, che ha alzato i divieti operativi in quei vicoli napoletani un giorno succosissimi.
Attenti ai posteggi abusivi, dunque. Nessun senso di colpa per prendersela con i “pesci piccoli”. Piuttosto facciamo funzionare il più possibile il cervello. Tutti, volenti o nolenti, dobbiamo muoverci sul territorio. Non tutti per fortuna, e non sempre, lo facciamo in auto.
Il fatto è che nelle grandi città, soprattutto in quelle turistiche, i posteggi sono sempre più difficili da trovare. La loro disponibilità nei dintorni di un ristorante, di un cinema, è diventata discriminante perfino per la scelta di “dove andare la sera”. Merce rara, preziosa. Che può generare profitti, non mance.
Il posteggio abusivo diventa così non più il luogo per sfamarsi ma la palestra per affermare, anche nei confronti dei “colleghi”, la propria forza o il proprio prestigio criminale.
Rieccoci così scaraventati dentro l’antico, inveterato problema del Paese, sin dalla sua Unità: chi, in Italia, soprattutto in certe aree, ha il potere di controllare il territorio? Lo Stato o gruppi di privati di ogni risma? Lo Stato o i criminali?
Se ancora resistete nel vostro “buon cuore”, nell’idea che vorremmo far volare gli stracci “mentre nella finanza i colletti bianchi” ecc, ecc., o “mentre i politici” ecc. ecc., insomma in tutto il repertorio impunitario allestito nei decenni, fatevi una domandina semplice semplice.
In quale epoca avete visto il potere prendere di mira i poveracci o comunque i pesci piccoli come in questa?
Lo Stato non è forse oggi duro, durissimo con una fitta serie di categorie? Ha messo al bando gli immigrati senza permesso di soggiorno, ha messo all’indice i disgraziati che cercano di passare il Mediterraneo sulle carrette della disperazione, e anche quelli che cercano di soccorrerli nel mezzo di una tragedia; riempie sempre più le carceri di tossicodipendenti, punisce virilmente l’accattonaggio, stringe la morsa anche intorno alle “zingare incinte”, ma -chissà perché- non riesce a essere nemmeno un pochino duro, dicesi un pochino, con questa antropologia di accatto che imperversa nei centri storici.
Che oggi è il campo reclute per la criminalità mafiosa ma altre volte è il suo campo da sbarco, per la famosa serie “la conquista”, come dimostrano gli episodi che ci vengono raccontati o che vediamo accadere in filmati allucinanti.
Morale (aggiuntiva): così il turista straniero se ne potrà tornare a casa forte delle sue antiche convinzioni. Ma quale paese in lotta con la mafia. È ancora lì a pretendere soldi dai passanti o dai clienti, minacciando e perfino picchiando. E nei loro negozi trovi sempre più spesso la mafia in vendita sulle magliette e sui souvenir. Distorsioni, certo.
Ultima domanda: ma non siamo ancora stufi di essere il “regno della mafia”? (antico copyright: Napoleone Colajanni…)
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 01/09/2025



