Qualsiasi ipotesi di riforma del sistema mediale deve partire innanzitutto dal recepimento dell’Emfa, vale a dire il Regolamento europeo sulla libertà dei media. Quest’ultimo consta di 29 articoli, alcuni dei quali già in vigore.
Ad esempio, il 4 che sottolinea come gli Stati debbano rispettare l’indipendenza senza interferire con le politiche e le decisioni editoriali dei fornitori di servizi e ancor meno fermare, sanzionare, sottoporre a intercettazione o ispezionare i medesimi fornitori o il loro personale. Insomma, l’Italia è già nell’illegalità visto il simil Watergate dei casi inquietanti di spionaggio -avvenuto attraverso la società israeliana Paragon- di giornalisti come Cancellato e Pellegrino di Fanpage, nonché di Luca Casarini e don Mattia Ferrari (e non solo, parrebbe, quanti sono?).
Sarebbe utile che l’Emfa venisse letto e approfondito da governo e ceti politici, per sanare al più presto le lacune dolose del nostro ordinamento.
Non basta. Già la relazione sullo Stato di diritto del 2024 segnalava numerose inadempienze della maggioranza e dell’Esecutivo, tanto che -in vista dela pubblicazione appena avvenuta di quella dell’anno in corso- l’associazione Articolo21 ha segnalato al Commissario competente dell’Unione europea le violazioni plateali avvenute, dalla Rai alle cosiddette querele bavaglio alla mancata tutela delle fonti e alla violazione del segreto professionale dei giornalisti. E il nuovo testo conferma tutte le critiche e le osservazioni.
Proprio Articolo21, insieme a MoveOn (la spinta originaria) e alla ReteNoBavaglio, ha promosso un incontro di lavoro tra il mondo della società civile e le forze politiche di opposizione attorno ai temi del sistema comunicativo. Presenti Partito democratico, 5Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra, +Europa e Rifondazione comunista; nonché Libera informazione, Arci, Associazione articolo 5, organizzazioni giovanili. Con la presenza in collegamento di Giacomo Mazzone segretario generale di Eurovisioni e in sala di Sielke Kelner del consorzio Media Freedom Rapid Response.
Vanno contrastate le proposte delle destre in seno alla competente commissione del Senato in cui è avviato l’iter di aggiornamento della normativa sulla Rai, maldestramente riportata sotto l’egida del potere esecutivo dalla legge voluta dal governo presieduto da Matteo Renzi nel dicembre del 2015. In particolare, è doveroso evitare che l’eventuale testo base possa essere quello depositato dall’ex ministro Maurizio Gasparri, che fa rientrare dalla finestra l’apparente uscita dalle competenze del Governo di quella sulle nomine. Se ne è parlato in Ri-mediamo dello scorso 28 maggio. Per questo nella riunione ha preso piede l’ipotesi concreta di rompere ogni schema conservativo e aggiungere ai ben 14 testi depositati un inedito articolato che parta dalle indicazioni europee, a cominciare dall’Emfa e dal citato Rapporto.
Ciò significa passare dall’idea che la Rai sia il centro tolemaico dell’universo mediatico e post mediatico ad una vera rivoluzione copernicana, che preveda l’inserimento del servizio pubblico in un contesto riformatore di ampia e moderna portata. Infatti, l’annosa e degenerata storia dell’azienda -fino alla repressione contro le trasmissioni considerate scomode e alla fuoriuscita di tanti professionisti dalle medesime rubriche- è ad un punto di svolta: o si sceglie la strada di un diverso contesto, o si regala la partita a testi pericolosi o ingialliti. Il tavolo che si è formato -dopo l’iniziativa con i gruppi dirigenti delle opposizioni del 15 aprile- proseguirà con un incontro previsto per mercoledì 16 luglio.
La scadenza dell’articolo 5 dell’Emfa – l’8 agosto – è vicina, ma a questo punto nulla può salvare l’Italia da contestazioni e prevedibili ricorsi. Il rischio di finire come l’Ungheria con ispezioni e condanne è immanente. Ma il campo progressista s’impegnerà nelle necessarie riforme, «raccoglierà dal fango» – come da nota citazione di Togliatti, che ci perdonerà – le bandiere lasciate cadere però non dalla borghesia, bensì da destre reazionarie capaci solo di occupare cinema, teatro, televisione.
Fonte: il manifesto



